Tutto è iniziato con uno sciame di mille piccoli terremoti che hanno fatto ondeggiare la terra sotto ai marciapiedi di Napoli. Come scrive il quotidiano inglese Daily Mail, le ventole per l’aria condizionata sono crollate dai lati degli edifici e le piastrelle sono scivolate giù dalle pareti. All’interno del centro di controllo dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, una serie di schermi indicano che i terremoti non sono stati generati dal Vesuvio. Queste scosse stanno provenendo da qualcosa di molto più grande, da uno dei più ampi e pericolosi vulcani del mondo. I Campi Flegrei, dove si trova il “supervulcano”, si trovano a nord ovest del capoluogo campano.
Il significato greco del nome vuol dire proprio “campi che bruciano”: questo perché sin dall’antichità soggetti a fenomeni vulcanici. I Campi Flegrei in realtà si estendono fin sotto al mare, verso le isole di Capri e Ischia. Il problema è proprio questo: quando magma e acqua si uniscono, si hanno conseguenze disastrose molto più potenti di quelle che si hanno con una normale eruzione. In grado di distruzione centinaia di volte più devastante di quella che causò il Vesuvio durante l’eruzione che distrusse Pompei. Addirittura, una eruzione di questo supervulcano potrebbe distruggere l’intera Europa.
In soldoni, il supervulcano partenopeo avrebbe una potenza di duecento volte superiore a quella del vulcano islandese Eyjafjallajökull che tanti problemi procurò all’intera Europa l’anno scorso.
L’ultima eruzione del supervulcano risale a 39mila anni fa (una decisamente minore si ebbe anche nel 1538) quando si formò il territorio collinare su cui poggia oggi la città di Sorrento. Se una eruzione analoga dovesse accadere oggi, l’Italia meridionale cesserebbe di esistere, mentre le nuvole di ceneri provocate dall’eruzione coprirebbero i raggi solari e abbasserebbero di conseguenza la temperatura di vaste aree del pianeta. L’intera Europa ne subirebbe le conseguenze: coperta dalle nuvole di cenere, per il nostro continente si aprirebbe un’era di inverno perpetuo. Un team composto di studiosi e ricercatori inglesi sta lavorando sul posto per capire quante siano le possibilità che questa eruzione mostruosa possa davvero accadere. Negli ultimi trent’anni si è assistito a un fenomeno di continua sollevazione del suolo del zona dovuto ai fenomeni del cosiddetto bradisismo provocati dal vulcano sotterraneo; dalla fine del 1984 è iniziata una fase discendente. È da notare come nel biennio 1982-84 siano stati rilevati circa 10.000 terremoti, qualche centinaio avvertiti anche dalla popolazione. Per il professor Chris Kilburn, dell’università di Londra, da circa vent’anni residente a Napoli, questo fenomeno potrebbe durare ancora una sessantina d’anni, nel corso dei quali si potrebbe approfittare per studiare in modo esaustivo le possibilità di una futura esplosione dir magmatica. Come? Perforando il terreno e procedendo con gli studi sotterranei. Ma non tutti sono d’accordo: perforare una tale zona magmatica potrebbe risvegliare il “mostro” prima del tempo.
Se la possibile eruzione del supervulcano campano desta paura, ne desterà ancora di più sapere che sparsi per il mondo ce ne sono di anche più vasti e quindi in grado di eruzioni ancor più devastanti. Ad esempio quello sito nel parco di Yellowstone, Wyoming, negli Stati Uniti. Si tratta di una lunga serie di supercaldere, formatesi sopra il magma proveniente dal mantello della crosta. La successione delle caldere nel tempo fa vedere il movimento della placca nordamericana al di sopra del pennacchio da quando 15 milioni di anni fa incominciò l’attività: all’epoca il pennacchio era sotto l’odierno Idaho. Sempre negli Stati Uniti c’è la Long Valley Caldera, tra la California e il Nevada. Questa caldera ha causato, 760.000 anni fa, la produzione dei Bishop Tuffs, che raggiungono i 200 metri di spessore. La maggior parte degli altri supervulcani sono invece ben inquadrabili nel classico meccanismo dei vulcani di arco magmatico, in cui i magmi sono uno degli effetti della dinamica di due zolle che si scontrano: per esempio, il vulcano Toba, in Indonesia. Si calcola che 75.000 anni fa abbia emesso quasi 3.000 chilometri cubici di materiale lavico.
Fonte yahoo.it