Roma, 26 ottobre 2013 – Se una cosa non manca in Italia, sono i vulcani, con una ventina tra attivi e non sulla terraferma e una altra decina sottomarini. I vulcani estinti, cioè quelli la cui ultima eruzione risale ad oltre 10mila anni fa sono quelli dell’isola di Salina, dell’Amiata, dei Vulsini, Cimini, del lago di Vico, dei Sabatini, Isole Pontine, Roccamonfina e del Vulture: da loro non dobbiamo attenderci alcuna sorpresa. Ci sono poi, e qui la cosa si fa seria, i vulcani quiescenti. Si tratta di vulcani che hanno dato eruzioni negli ultimi 10mila anni ma che attualmente si trovano in una fase di riposo. Si trovano in questa situazione: Colli Albani, Campi Flegrei, Ischia, Vesuvio, Lipari, Vulcano, Panarea, Isola Ferdinandea e Pantelleria. E a destare preoccupazione sono soprattutto Vesuvio e Campi Flegrei. Molto più dei due vulcani attivi, Etna e Stromboli.
Il Vesuvio è quello per il quale il rischio è più evidente, sia per le sua caratteristiche che per il fatto che attorno ale sue pendici vivono ben 550 mila persone. Nel corso della sua storia, il Vesuvio è stato caratterizzato dall’alternanza di periodi di attività eruttiva, a condotto aperto, e periodi di riposo, a condotto ostruito, caratterizzati da assenza di attività eruttiva e da accumulo di magma in una camera magmatica posta in profondità. Tali periodi sono interrotti da eruzioni molto energetiche, alle quali fanno poi seguito periodi di attività a condotto aperto con frequenti eruzioni effusive o esplosive di bassa energia. L’eruzione del 1631 ha interrotto un periodo di riposo che durava da quasi cinque secoli. Dal 1631 al 1944 le eruzioni vulcaniche sono state costanti e intervallate da periodi di riposo di pochi anni.
“Secondo gli studi più recenti – osserva il Dipartimento della Protezione Civile – l’evento vulcanico che con maggiore probabilità si potrebbe verificare al Vesuvio è un’eruzione stromboliana violenta (VEI=3), con ricaduta di materiali piroclastici e formazione di colate di fango o lahars. Sulla base di ricerche condotte a partire da indagini geofisiche, inoltre, non si è rilevata la presenza di una camera magmatica superficiale con volume sufficiente a generare un’eruzione di tipo Pliniano”.
“Sulla base di queste osservazioni – prosegue la Protezione Civile – la commissione incaricata di aggiornare il Piano ha stabilito che lo scenario di riferimento sia un evento di tipo sub-Pliniano, simile a quello del 1631 e analogo a quello già assunto nel precedente Piano. Questo scenario prevede la formazione di una colonna eruttiva sostenuta alta diversi chilometri, la caduta di bombe vulcaniche e blocchi nell’immediato intorno del cratere e di particelle di dimensioni minori – ceneri e lapilli – anche a diverse decine di chilometri di distanza, nonché la formazione di flussi piroclastici che scorrerebbero lungo le pendici del vulcano per alcuni chilometri”. Roba seria.
Ma anche una eruzione nei Campi Flegrei – una caldera vulcanica di 12 chilometri per 15, sulla quale sono letteralmente stati costruiti diversi centri abitati e che è vicina alla città di Napoli – non sarebbe uno scherzo. Nel 1538 si è verificata l’ultima eruzione che, pur essendo fra le minori dell’intera storia eruttiva dei Campi Flegrei, ha interrotto un periodo di quiescenza di circa 3000 anni e, nel giro di pochi giorni, ha dato origine al cono di Monte Nuovo, alto circa 130 m. Da allora, l’attività ai Campi Flegrei è caratterizzata da fenomeni di bradisismo, attività fumarolica ed idrotermale localizzata nell’area della Solfatara.
“Si prevede che una futura eruzione ai Campi Flegrei – osserva la Protezione Civile – possa generare diverse fenomenologie, riassumibili essenzialmente nel lancio di bombe e blocchi di grosse dimensioni nell’immediato intorno del centro eruttivo, nello scorrimento di flussi piroclastici nel raggio di alcuni chilometri, nella ricaduta di ceneri e lapilli a distanza anche di molti chilometri. Per quanto concerne quest’ultimo fenomeno occorre considerare che, a differenza del Vesuvio, la città di Napoli si trova sottovento rispetto alla direzione dei venti dominanti e sarebbe pertanto coinvolta”.
E’ quindi qui – Vesuvio e Campi Flegrei – che bisogna guardare con attenzione e proccupazione, mentre i due vulcani attivi italiani, Stromboli ed Etna, non pongono problemi seri da un punto di vista di protezione civile. Le eruzioni dell’Etna sono infatti caratterizzate prevalentemente da attività stromboliana, effusione di colate laviche ed emissioni di ceneri. Le colate laviche dell’Etna in particolare, a causa della loro viscosità e della conseguente bassa velocità di scorrimento, non sono un pericolo per l’incolumità delle persone. Nel caso in cui la fuoriuscita di lava avvenga da bocche poste ad alta quota, raramente i flussi raggiungono i centri abitati: può succedere solamente nel caso di eruzioni di lunga durata, e in quel caso si può comunque intervenire per deviare il corso della lava, come si è fatto nel corso delle eruzioni del 1983, 1992, 2001 e 2002.
Alessandro Farruggia
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