NAPOLI — L’acqua dal depuratore di Cuma esce pulita. Limpida. Lo racconta il video che trovate sul sito . E, soprattutto, lo rivelano le analisi dell’Arpac e dei laboratori. Epperò quell’acqua così cristallina, quando arriva a mare, è sporca. La vedi perché è marrone. La senti perché puzza. Com’è possibile? È un mistero? Si tratta di un sabotaggio? I dati sono stati alterati? Nulla di tutto ciò. La spiegazione è più semplice — e per questo più disarmante — di quel che si pensi. Chi ha progettato e realizzato il depuratore (erano gli anni della Cassa del Mezzogiorno) l’ha fatto pensando di vivere in un Paese normale, civile. E così gli ingegneri hanno deciso che l’acqua ripulita non sarebbe dovuta finire direttamente in mare. No, era meglio che passasse prima attraverso il canale lungo oltre tre chilometri che ancora oggi collega il depuratore alla foce. E questo per una valida ragione scientifica: il movimento avrebbe ossigenato quell’acqua, rendendola ancora più pulita. Insomma, in mare ci doveva finire addirittura più limpida.
CHE SUCCEDE – La realtà, però, è ben diversa. E Nicola Dell’Acqua — uno che ha il destino segnato nel (cog)nome, il commissario governativo che gestisce cinque depuratori in Campania, tra cui quello di Cuma — dice che «in quegli oltre tre chilometri può accadere di tutto». Ecco come: «L’acqua che esce dal depuratore è pulita. Lo dicono i nostri rilevamenti, lo attestano i dati dell’Agenzia regionale di protezione ambientale, e lo confermano i controlli della magistratura, che vanno avanti da tre anni. Quando quell’acqua esce dal depuratore di Cuma, però, deve percorrere questi benedetti tre chilometri e passa per arrivare al mare. E in quel tragitto può essere inquinata da qualsiasi persona che immetta scarichi abusivi e clandestini. Quella che vedete riversarsi in mare, dunque, non è l’acqua che esce dal depuratore, ma quella che subisce interventi esterni durante il suo percorso verso la foce». Basti un esempio: «Ogni giorno lì davanti si vedono galleggiare bottiglie di plastica, cotton fioc, carta. Be’, qualsiasi addetto ai lavori vi potrà spiegare che è fisicamente impossibile che quegli oggetti passino attraverso il depuratore». Beninteso, l’impianto di Cuma in certi giorni «non è ancora al top». Però «fa il suo dovere», e se in un caso c’è stato uno sforamento dei limiti di legge consentiti (è accaduto a marzo) è solo perché «si stavano effettuando lavori di manutenzione» che ne hanno diminuito il potenziale.
VERIFICHE – Il problema, dunque, sono i controlli. «Bisognerebbe monitorare sia il canale principale che quelli secondari. E invece in mare arrivano anche rifiuti non trattati. L’acqua, nel suo percorso, attraversa zone su cui insistono allevamenti di cavalli, attività agricole, abitazioni». E quel canale «è a cielo aperto». Soluzioni? «Be’, in un Paese normale si parlerebbe di controlli, in Italia invece si parla di intubare». Insomma, blindare quel tragitto, facendo scorrere l’acqua, anziché nel canale, all’interno di una grossa conduttura che eviterebbe scarichi abusivi e allacciamenti clandestini. «Un errore, perché di canali a cielo aperto nel mondo ce ne sono eccome. Il problema è che altrove controllano. E quel canale, se non venisse sporcato, pulirebbe ancor di più l’acqua. Ora che la Procura ha concluso gli accertamenti sul funzionamento dei depuratori, s’è capito che il problema è dopo, a valle». Resta da chiedersi chi sia il colpevole, ma su questo il commissario non si sbilancia: «Posso avere una mia idea, ma certo non mi posso azzardare a dire chi sia a sversare illegalmente. È l’autorità giudiziaria che lo dovrà accertare». E infatti «adesso i carabinieri del nucleo operativo ecologico stanno indagando sugli scarichi abusivi». Dovrebbero indagare anche gli enti locali, perché se è vero che «la mancata vigilanza è un problema italiano, non campano», è vero anche che «da noi in Veneto ci sono controlli decisamente più stringenti sulle costruzioni abusive». E ogni casa illegale è uno scarico clandestino.
fonte www.ilcorrieredelmezzogiorno.it