La Convenzione sul lavoro marittimo (CLM), adottata dall’Organizzazione internazionale del lavoro (OIL) il 23 febbraio 2006, potrà finalmente entrare in vigore fra dodici mesi grazie al raggiungimento di 30 ratifiche nell’agosto 2012.
Consolidando e sostituendo ben 37 delle convenzioni marittime adottate dall’OIL fra il 1920 e il 1996, oltre alle relative raccomandazioni non obbligatorie, la CLM costituisce il c.d. quarto pilastro normativo in materia di navigazione marittima, insieme a tre delle più importanti convenzioni adottate dall’Organizzazione marittima internazionale (OMI), ossia la Convenzione internazionale per la salvaguardia della vita umana in mare del 1974, la Convenzione internazionale sugli standard di addestramento, certificazione e tenuta della guardia del 1978 e la Convenzione internazionale per la prevenzione dell’inquinamento da navi del 1973.
L’importanza dello strumento in esame risulta chiara se solo si considera che gli attuali 30 Paesi parti rappresentano quasi il 60% della stazza lorda mondiale e che la CLM si applicherà quindi ai marittimi in servizio nell’ambito di più del 50% della flotta mercantile globale. Nell’ambito dell’Unione europea gli Stati membri sono stati autorizzati a ratificare la Convenzione (decisione 2007/431/CE del Consiglio) e l’UE ha attuato l’accordo sulla CLM concluso dall’Associazione armatori della Comunità europea e dalla Federazione europea dei lavoratori dei trasporti (direttiva 2009/13/CE).
Prima di passare all’esame del contenuto sostanziale di questa convenzione, si rileverà la particolare tecnica normativa seguita. Diversamente dalle altre convenzioni marittime concluse nell’ambito dell’OIL, la CLM si compone infatti di tre parti distinte, ma fra loro collegate, secondo una nomenclatura che richiama quella prescelta per il Codice internazionale per la sicurezza delle navi e degli impianti portuali (Codice ISPS) approvato dall’OMI nel 2002. Ai 16 articoli iniziali, relativi a questioni generali, seguono le Regole ed un Codice, formato a sua volta da una parte A, recante standard obbligatori, ed una parte B, recante linee-guida facoltative per gli Stati. Siamo insomma confrontati ad un esempio di combinazione, all’interno di uno stesso strumento pattizio, di elementi di hard law e di soft law, ciò che rende la CLM del tutto peculiare.
La CLM si applica a tutte le navi, di proprietà pubblica o privata, impiegate normalmente in attività commerciali, ad esclusione delle navi dedite alla pesca o attività analoghe, delle navi tradizionali e delle navi da guerra ed ausiliarie; sono soggetti alle sue disposizioni tutti i marittimi, compresi gli individui non direttamente coinvolti nella navigazione e conduzione dell’imbarcazione, ma che comunque lavorano a bordo.
Gli articoli III e IV costituiscono un vero e proprio di “Bill of Rights” della gente di mare. Sono effettivamente riconosciuti alcuni diritti fondamentali dei marittimi che ogni ogni legislazione interna è tenuta a rispettare e garantire: la libertà di associazione e il diritto di contrattazione collettiva, l’eliminazione di ogni forma di lavoro forzato o obbligatorio e della discriminazione in materia di impiego e occupazione, nonché l’abolizione effettiva del lavoro minorile. Sono inoltre consacrati alcuni diritti sociali e in materia di impiego, segnatamente il diritto a condizioni di lavoro eque e dignitose, alla tutela della salute, alle cure mediche e alle misure previdenziali, nonché ad un luogo di lavoro sicuro e senza pericoli.
I cinque titoli che formano il Codice stabiliscono norme minime relative a praticamente tutti i settori inerenti la vita e l’impiego a bordo delle navi: condizioni di lavoro, alloggi, strutture ricreative e vitto, tutela della salute, assistenza medico-sociale e protezione della sicurezza sociale. Ai marittimi è altresì riconosciuta la possibilità di contribuire attivamente alla piena osservanza del loro diritto ad un lavoro decente, grazie alla facoltà di presentare reclami a bordo della nave e a terra, una volta attraccati nel porto di uno Stato contraente. La Convenzione riconosce pienamente anche il diritto dei marittimi al benessere, in particolare grazie alla possibilità di fruire di adeguate strutture sociali di assistenza nei porti e di beneficiare dell’operato di appositi Comitati sociali di assistenza, previsti a livello portuale, regionale e nazionale.
Essenziali per un corretto funzionamento della Convenzione sono infine le disposizioni sull’adempimento e sull’applicazione dei principi e diritti previsti. In via primaria grava sullo Stato di bandiera la responsabilità di garantire che a bordo delle sue navi siano adempiuti gli obblighi previsti dalla Convenzione, conformemente al principio di diritto internazionale generale, codificato dalla Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982, in base al quale ciascuno Stato esercita in modo efficace la propria giurisdizione e il proprio controllo sulle questioni amministrative, tecniche e sociali sulle navi battenti la propria bandiera (art. 94). Lo Stato di bandiera è a tal fine tenuto a stabilire un sistema di ispezione e certificazione attestante il rispetto delle condizioni di vita e di lavoro dei marittimi a bordo di tutte le sue navi, anche se può delegare tali funzioni a delle “organizzazioni riconosciute”. La Convenzione affianca a tale responsabilità il controllo dello Stato di approdo; si ricorderà che il “Port State Control” si è affermato originariamente in materia di prevenzione dell’inquinamento marino e salvaguardia della vita umana in mare quale meccanismo di attuazione complementare inteso a porre rimedio ai frequenti inadempimenti degli Stati di bandiera. In ambito europeo vige il Memorandum d’intesa sul controllo dello Stato di approdo, concluso a Parigi nel 1982 e recepito nel quadro dell’Unione europea dalla direttiva 1995/21/CE (ormai abrogata e sostituita dalla vigente direttiva 2009/16/CE). Le competenti autorità degli Stati parti hanno la facoltà di ispezionare le navi attraccate nei loro porti per verificare l’osservanza degli standard obbligatori della Convenzione e disporre il fermo della nave in caso di manifesto pericolo per la sicurezza e la salute dei marittimi e in caso di infrazione grave o ripetuta. Nel 2008 sono altresì state adottate delle linee-guida, giuridicamente non vincolanti, relative alle ispezioni svolte dagli Stati in veste di Stati di bandiera e Stati del porto al fine di facilitare l’implementazione di tali obblighi.
Claudia Nannini
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fonte www.leggioggi.it