Una passeggiata lungo la costa di Monte di Procida e non solo…
A cura di Monica Carannante ed Erlisiana Anzalone
La storia geologica e archeologica del territorio di Monte di Procida è indissolubilmente legata a quella dei Campi Flegrei. Per la ricchezza delle caratteristiche geologiche, termali, archeologiche ed enogastronomiche presenti, i Campi Flegrei costituiscono una grande opportunità per lo sviluppo del turismo in quanto tutti questi elementi la differenziano dalle altre località, rendendola unica.
La caratteristica del territorio e le continue esplosioni vulcaniche hanno alimentato nel corso del tempo la fantasia degli antichi che hanno identificato in queste aree la terra dei Titani, la lotta dei Ciclopi, la discesa agli inferi. Qui nasce il mito di Ulisse, il mito di Orfeo, la leggenda Virgiliana, il culto di Kalypso e della Sibilla Cumana. La denominazione <<Flegreo>> deriva dal greco phlegraios, ardente, di fuoco ed è un chiaro riferimento alla natura vulcanica del territorio, che si manifesta, oltre che in impressionanti eruzioni e terremoti, nell’abbondanza di sorgenti calde e acque termali, di soffioni ed emissioni sulfuree, tutte testimonianze di una diffusa ed energetica potenza sotterranea (fig.1).
Infatti, la struttura dei Campi Flegrei è rappresentata da una caldera (una depressione quasi sempre sub circolare) generata a seguito di uno o più collassi, probabilmente legati alle eruzioni dell’Ignimbrite Campana (IC, circa 39000 anni fa, ritenuta tuttora la più imponente eruzione avvenuta nel Mediterraneo negli ultimi 200.000 anni) e del Tufo Giallo Napoletano (TGN, circa 12000 anni fa) all’interno della quale si è poi sviluppato un complesso sistema vulcanico.
Il collasso della caldera, il cui margine strutturale non è attualmente esposto, si è realizzato sia attraverso la formazione di nuove faglie[1], sia attraverso la riattivazione di parte di strutture regionali preesistenti. L’area collassata comprende una parte sommersa ed una parte emersa (fig. 2 e cfr. il sito web dell’osservatorio vesuviano: http://www.ov.ingv.it). In un simile scenario, l’area di Monte di Procida offre l’opportunità di leggere (in particolare presso la zona di Montegrillo e di Acquamorta) le tappe salienti che hanno caratterizzato la storia vulcanologica dei Campi Flegrei, costituendo, da decenni, meta di studi da parte degli “addetti ai lavori”.
In passato infatti sono stati realizzati diversi studi sulla geologia del Monte di Procida (per esempio Vighi, 1950), la maggior parte dei quali volti a comprendere i differenti depositi affioranti e le loro relazioni con le altre aree flegree, giungendo a ricostruire una storia lunga circa 40000 anni. Una storia ricca di eruzioni e relativa messa in posto di depositi (per citarne alcuni: quelli della Breccia Museo, della eruzione di Fiumicello, del Tufo Giallo Napoletano, dei Fondi di Baia[2]) e momenti di non deposizione/erosione. Ogni evento ha lasciato la sua traccia nella formazione del paesaggio montese così come appare oggi ed è riconoscibile, osservando le nostre coste dal basso (depositi più antichi) verso l’alto (depositi relativamente più giovani), rispetto agli altri eventi eruttivi.
La continua dinamica ambientale che ha modellato l’area in esame, i colori classici del paesaggio vulcanico congiuntamente al panorama sulle isole di Ischia e Procida ha inoltre favorito l’impiantarsi di piccoli centri storici, divenendo in passato residenza per ricchi e nobili romani.
A riguardo, va ricordato che sullo sperone tufaceo di Torregaveta (fig. 3) vennero alla luce nel XVI secolo, durante i lavori per la costruzione di una torre di guardia oggi scomparsa, i ruderi di una maestosa villa.
Questa venne in seguito identificata come la residenza del nobile romano Publio Servilio Vatia, morto nei primi anni del regno di Tiberio. La villa, inserita armonicamente nel paesaggio e abilmente disposta per godere tutti i vantaggi dell’esposizione e della ventilazione, si stendeva dal livello del mare alla cima del promontorio, secondo i canoni strutturali e scenografici dell’architettura a terrazze tipica di tanti edifici pubblici e privati dei Campi Flegrei (fig.4). Altro esempio di suggestivo connubio paesaggio-valorizzazione è fornito dall’isolotto di san Martino. Di facile accessibilità, l’isolotto prevalentemente tufaceo di 1.600 mq circa è stato utilizzato dai procidani per la pesca dei tonni e nei primi decenni del Novecento fu usato per il collaudo di siluri, prodotti dai silurifici di Baia. Dopo la seconda Guerra Mondiale l’isolotto divenne una suggestiva stazione balneare, protagonista della dolce vita napoletana (e non solo!, fig. 5).
La natura vulcanica dei luoghi ha quindi svolto un ruolo fondamentale nel determinare il formarsi di bellezze naturali particolari, l’esistenza di insenature protette divenute con il tempo attrezzati porti, la determinazione del tufo e della pozzolana materiali utilizzati nell’e