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La coperta della vergogna: quando la povertà estrema diventa un crimine contro l’umanità

L’altro giorno, a Napoli, si è consumata una tragedia che scuote le coscienze e pone interrogativi inquietanti sulla nostra società.

Un uomo di 30 anni, senza nome per i più, ma sicuramente con una storia ed una dignità, ha perso la vita per una coperta. Sì, nel 2024, in una delle nazioni più benestanti del mondo, si muore ancora per un lembo di stoffa che rappresenta l’ultimo baluardo contro il freddo e l’indifferenza.

La cronaca è cruda nella sua semplicità: una lite tra due senzatetto, un coltello, un colpo alla gola. La vittima, un giovane tunisino, giaceva nei giardini pubblici a due passi dal lungomare, là dove i turisti passeggiano ignari e la vita scorre frenetica. Il suo assassino, anch’egli tunisino e senza fissa dimora, è stato rapidamente individuato grazie alla collaborazione tra forze dell’ordine e militari. Ma questa efficienza investigativa non può e non deve offuscare la gravità di quanto accaduto.

Come siamo arrivati a questo punto?

Nel pieno di un’era caratterizzata da un progresso tecnologico senza precedenti, di ricchezze accumulate e di benessere ostentato, come è possibile che due esseri umani si contendano fino alla morte un oggetto così basilare come una coperta?

La risposta, per quanto dolorosa, è semplice: abbiamo fallito come società e questo episodio è lo specchio di un sistema che ha normalizzato l’estrema povertà, rendendola quasi invisibile agli occhi di chi vive al di sopra della soglia di sussistenza. È il risultato di politiche sociali inadeguate, di un’economia che crea sempre più disparità, di un tessuto comunitario lacerato dall’indifferenza.

La morte di questo giovane uomo ci pone di fronte a domande scomode: quante altre tragedie silenziose si consumano ogni giorno nelle nostre città? Quante vite vengono spezzate nell’indifferenza generale? E soprattutto, cosa stiamo facendo, come individui e come collettività, per impedire che ciò accada?

È facile, troppo facile, liquidare questa vicenda come un regolamento di conti tra emarginati. Ma facendolo, ci rendiamo complici di un sistema che considera alcune vite meno degne di altre. Ogni essere umano ha diritto a un tetto, ad un pasto caldo, a una coperta. Questi non sono lussi, sono diritti fondamentali che una società civile ha il dovere di garantire a tutti i suoi membri.

La povertà estrema è una violazione dei diritti umani; è un crimine contro l’umanità perpetrato quotidianamente sotto i nostri occhi. E finché non riconosceremo questa verità, finché non agiremo con determinazione per cambiare lo status quo, continueremo a leggere di uomini morti per una coperta.

È tempo di pretendere politiche sociali efficaci, di costruire reti di solidarietà, di vedere l’umanità in ogni persona che incontriamo per strada. Solo così potremo dire di aver imparato qualcosa da questa tragedia. Solo così potremo sperare che negli anni a venire, nessuno debba più morire per una coperta.

La vita di quel giovane tunisino non può essere stata spesa invano. Il suo sangue, versato su quella coperta contesa, deve essere il seme di un cambiamento radicale nel nostro modo di concepire la società e la dignità umana. Perché in un mondo veramente civile, nessuno dovrebbe mai trovarsi nella condizione di dover lottare per sopravvivere. Nessuno dovrebbe mai sentirsi così solo e disperato da vedere in una coperta l’unico bene per cui valga la pena vivere o morire.

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