“Una delle cose che ha lasciato un segno nella mia anima, in questo anno e mezzo in cui abbiamo lavorato a questa nuova operazione culturale, è stata una leggenda della tradizione popolare del nord Europa in cui le donne di qualsiasi età fossero, ( bambine, adolescenti, adulte e anziane), quando a sera, si ritrovavano con troppi pensieri per la testa, tanti da non lasciarle dormire la notte, si intrecciavano i capelli, con treccine, piccole e grandi, e poi li arrotolavano, fermandoli con un ferretto, formando dei nidi, piccoli e grandi, e poi, ci dormivano sopra. Quando poi la mattina si svegliavano, e quindi scioglievano questi piccoli e grandi ‘nidi di capelli’, e simbolicamente questi grovigli di “vipere” che le “attaccavano da dentro, dalle loro viscere”, anche i pensieri erano andati via. Ecco, io credo che anche ora, in cui ci ritroviamo a fronteggiare una serie di guerre, dalla pandemia a quella in Ucraina a quelle in medio Oriente e, a tutte quelle in giro per il mondo, le donne devono e possono, trovare nella ‘tradizione’ un nuovo rapporto di sorellanza che le trasforma da ‘rivali’ in alleate, dove si può re-esistere a tutto ciò che accade nel contesto comunitario, nazionale e internazionale”.
Queste le parole con cui Valeria Villeggia introduce una delle belle canzoni del nuovo CD degli Indaco, che viene presentato in anteprima al Parco della Musica a Roma – meglio conosciuto come Auditorium. La canzone si intitola ‘Quanno è sera’ e racconta in uno ‘sleng romanesco’ un po’ biascicato, proprio tale usanza della tradizione di molti popoli. La verità è che Valeria, voce, autrice e arpista d’eccezione degli Indaco, facendo una ricerca approfondita su tale tradizione dei paesi del nord Europa, in particolare di quelli balcanici, che hanno conosciuto le ‘Guerre e le Rivoluzioni’ con una linea di continuità storica negli ultimi tre secoli, scopre che anche nel Lazio, regione italiana di sua provenienza geografica esisteva tale usanza durante la prima guerra mondiale, e poi che esisteva anche nelle comunità del Sud Italia, giù nel Regno che fu chiamato delle due Sicilie e fino nella Grecia bizantina e poi in Medio Oriente, dal Libano, all’Iraq, alla Siria, alla Palestina, e ancora più giù nell’Africa sub-sahariana, fino all’India. E che, sempre nelle ‘comunità semplici’ quando i giovani e gli adulti maschi partono per la guerre le donne intrecciano i capelli, per tenere a bada i pensieri e lasciare scivolare via quelli negativi. E ciò a prescindere dalla cultura etnica o geografica di appartenenza, a prescindere dal parallelo o meridiano, a nord o sud dell’equatore, o est od ovest di Greenwich, cui appartengono.
Possiamo antropologicamente affermare che ‘il rapporto di sorellanza’ è ciò che può salvare una comunità dagli attacchi esterni e interni, per tenerla coesa, ripararla da qualsiasi ingerenza, poiché ciò che preserva una comunità, ciò che la conserva, non è solo la riproduzione ma anche il modo in cui i ‘cuccioli di uomo’ vengono cresciuti ed educati e come si preserva il rapporto tra gli anziani della medesima e questi, senza pregiudizio intergenerazionale e di contesto ambientale, ma anche senza falsi miti che decentrano troppo e fanno dimenticare le proprie radici.
Questo ultimo lavoro degli Indaco, gruppo della World Music, fondato negli anni 90 da Mario Pio Mancini e Rodolfo Maltese, si intitola Due Mondi ed è il risultato di un lavoro di un anno e mezzo, diciamo post pandemia da Covid 19 e da Guerre scoppiate o che hanno manifestato recrudescenze in giro per il Mondo coinvolgendo anche il Nord. I testi e le musiche che sono state il risultato di un lavoro di cooperazione tra i componenti del gruppo, da Jacopo Barbato a Valeria Villeggia, a Arnaldo Vacca (rientrato nel gruppo proprio per quest’occasione), a Enzo Gragnaniello che non ha mai abbandonato il gruppo anche durante la sua convalescenza, e che anche con i suoi ritmi lenti per motivi di salute, ha interpretato la canzone Sente e Tace … una ‘poesia’, scritta per tutte le Terre e i Popoli martoriati da qualsiasi Violenza ma che non intendono rinunciare alla loro Bellezza e alla loro Grazia, un grido disperato di chi è ormai stremato ma che con una certa fatalità rivolge la sua ultime flebile voce a chi potrebbe con un solo si, salvare ciò che resta. Salvare soprattutto le donne, i bambini e gli anziani saggi. Salvare la memoria storica ma anche il futuro. E’ questo il momento in cui significato e significante della parola speranza si uniscono. Stasera Enzo Gragnaniello non c’è, non può affaticarsi così tanto, e la canzone viene cantata da Jacopo Barbato, uno degli autori, di origine napoletana, ma in giro per l’Italia sin da bambino, e la interpreta comunque bene, dedicandola a Enzo, con l’augurio che ritorni il leone di sempre. Ascolto, e rivedo i Campi flegrei, partendo dalla mia comunità di appartenenza e a tutti gli sforzi che vengono fatti da tutte le persone di buona volontà che cercano di offrire servizi efficienti ai cittadini, ognuno nel loro ruolo, alcuni prendendo la rotta del mare, soffrendo la saudade per coloro che non vedranno più al loro rientro, altri approdando in altre Terre, oltre gli oceani, oltre il Mediterraneo. E tuttavia ci sono sempre continui ostacoli, il quotidiano è faticoso, i pregiudizi tanti, e poi, ci sono le morti improvvise, i malati di cancro e il pianto delle madri e dei parenti tutti, i bambini e gli adolescenti impauriti, e la voglia di vivere una vita migliore, senza conflitti e senza violenze. E’ una guerra anche questa, oppure è un dopoguerra infinito che non si è mai concluso. Guerra e Pace i tempi, ma anche Amore e Morte, Speranza e Rassegnazione i temi di questo ‘lavoro poetico’ che musicalmente si inserisce in quella linea di continuità/discontinuità del ‘sound delle contaminazioni mediterranee, più propriamente del Sud del mondo, ed effettua dei ‘fusion’ tra strumenti musicali come l’arpa, e la fisarmonica, oppure il mandolino e il sax, la batteria e i “le percussioni” e i tamburelli, e tra sound e ritmi sincopati ma sincronici, melodici ma diacronici, rebetici ma anche fluttuanti indian style, è anche pop, e a volte, anzi spesso, rock. Un lavoro che ha richiesto indubbiamente un grande sforzo di coordinamento, come tutte le opere cooperative e che solo Mario Pio Mancini, ancora prof. di lingua inglese ma non solo, musicista eclettico, sin dalla più giovane età, chi non lo ricorda con il violino a musicare una delle più belle opere di Lindsay Kemp, e la sua ‘pedagogia trasformativa’ poteva fare.
Due Mondi ci suggerisce un’intuizione già presente in ciascuno di noi, il sive/sive piuttosto che l’aut/aut per trovare una nuova chiave di svolta tra gli Universalismi di un mondo globalizzato che ci vuole tutti automi, e i particolarismi di un mondo chiuso, gretto, ripiegato su se stesso che è quello dei nazionalismi tout-court, per cui anche le parole presentano un significato ma anche il suo doppio, e miti che possono apparire terrificanti come ad esempio Kali, invece sono salvifici, infatti se conoscessimo il sanscrito la parola Kali indica sì la Dea della distruzione ma anche della rinascita, e se noi la cerchiamo nella nostra cultura che ha origini Greche la troviamo in Proserpina. (Valeria Villeggia).
Un progetto ambizioso dunque quello degli Indaco con questo CD e con il tour che vorrebbero inaugurare per tutto il 2023, da fare rigorosamente con gli Yo Yo Mundi, gruppo rock-pop ancora di avanguardia, di musica indipendente, che pure in questi anni ha sempre continuato a portare in giro per l’Italia e il Mondo il discorso della Pace e dell’Intercultura, perché non esiste solo la via degli Universalismi o dei particolarismi, che si scontrano facendo delle ‘carneficine di idee e materie’ e distruggendo Natura e Cultura, in nome di un falso ideale che sia religioso o scientifico poco importa. E’ comunque un falso Mito, perché il conflitto, la guerra, la distruzione, il rovesciamento violento dell’ordine delle cose è sempre un falso mito. Esiste una terza via … che è quella della mediazione dei conflitti in maniera non violenta per usare un’espressione tanto cara al Mahatma Gandhi.
E così, prima sulle riflessioni geomorfologiche del Lazio, terra di vulcani e crateri a cielo aperto, (cosa che mi ricorda molto la caldera dei Campi flegrei), con la canzone Oikos, il finale è con gli Yo Yo mundi, che tengono alto lo spirito nella seconda parte della serata, e che con la bellissima canzone di Luigi Tenco ‘Senti che silenzio’ ci riportano agli orrori della Guerra. Di Terra in Terra, di Orrore e Sgomento, di Violenza e Bellezza, di Sole e di Lava, di Suoni e di Gesti, di Odio e d’Amore, questo è il meraviglioso viaggio che questo concerto ci consente di fare.
Gli Yo yo Mundi, che pure seguono lo stesso ‘filo da addipanare’ con il loro stile rock-pop-rap da trent’anni, ci aiutano (dopo averci portato nelle colline del Monferrato) a commemorare nel giusto modo, senza troppi bla bla bla, la giornata della Memoria storica sulla Shoa ma anche la dipartita di Luigi Tenco, si canta timidamente ‘Tutti Insieme’, e in un attimo la sala si riempie di coloro che hanno creduto e continuano a credere nella Pace e inter-cultura a prescindere dal linguaggio che hanno usato per comunicare con le persone. In sala improvvisamente ci sono Tutti i musicisti che hanno creduto in questo Progetto e che sono deceduti prematuramente per un motivo o per l’altro ossia Rodolfo Maltese, Francesco Di Giacomo, Andrea Parodi, Pino Daniele, Luigi Tenco ed altri ancora, ma anche tutti gli intellettuali, i filosofi e i letterati, compresa Anna Frank, che hanno creduto nel Progetto della Pace tra i popoli e nel loro diritto alla libertà e alla determinazione dei popoli, senza spargimenti di sangue.
Auguro a tutti di vedere almeno uno di questi spettacoli del Tour degli Indaco e degli Yo Yo Mundi in giro per l’Italia e si spera per l’Europa e il Mondo per tutto il 2023.
Buon ascolto, buona riflessione, buona immaginazione! “ … siamo tutti parte di uno stesso rizoma” suggerirebbe Norberto Bobbio.
Assunta Esposito.