Dopo lunga assenza, Astolfo ritorna a scrivere per la rubrica che egli stesso ha creato tempo fa sul nostro Sito, I libri di Astolfo, appunto.
Pare che voglia guardare un po’ di più, e meglio, ad alcune pubblicazioni nate proprio sul nostro territorio e comincia da oggi a leggere per chi lo segue un libro di un nostro autore…
Quarant’anni non solo di Medicina
Il libro di Antonio Panarese
La microrecensione di Astolfosullaluna – Settembre
Gira da queste parti da più di un mese un piccolo libro, scritto dal Dottor Panarese, Antonio ad essere precisi, dal titolo ambizioso e promettente: 40 anni di medicina e dintorni. Proprio con quel numero in cifre che ad Astolfo, rientrato dal lungo viaggio di quasi un anno in Bretagna, dà leggermente sulla barba … che pure ha tagliato per meglio volare. Come tutti quelli che abitano nella penisola flegrea, anche A.Panarese è sconosciuto al Cavaliere ariostesco, che ha visto ultimamente un fiorire proprio qui di libri, belli e meno, saggi e romanzi, di autori di penna rapida e di giovani alle prime …digitazioni. Buon segno, dice, proverà a leggerli e a scriverne in questa rubrica che pare conservi i tre lettori di sempre! O così spera Astolfo.
Presume di trovare un po’ l’eco di altri libri intorno alla professione medica: la passione di Tobino per i matti e il dolore che vivono, o, anche, quella dell’egiziana Nawal al-Sa’adavi, occhio femminile su di un mondo tradizionale nemico; la comicità intelligente di Pennac e del suo dott Galvan, la parola di Foucault sulla Medicina come Istituzione totale, o altri Francesi… Panarese non imita nessuno di questi autori e si ritaglia il suo spazio personale.
Dunque: quarant’anni di mestiere, di fatiche, di cose, insomma, che un pezzo così grande di vita contiene e mette in moto… La lettura scorrevole, a tratti piacevole, sempre diretta, è guastata qua e là da qualche refuso, qualche distrazione che il dottore stesso mette in conto: “… vi imbatterete in una scrittura semplice e discorsiva …poco connotata” – scrive nelle Premesse come a chiarire a chi legge che non deve aspettarsi molto, che non ha scritto pagine avvicinabili ad altre intorno al senso della cura e della pietà samaritana che altri, medici e filosofi come quelli citati più sopra, hanno lasciato. Dice anzi che ha scritto “… come se stessi raccontando a un caro amico che non vedevo da anni tutto ciò che mi è accaduto dal momento in cui ci siamo persi di vista.”. Ed è questo il libro, cronaca della conquista difficile della professione, tra alti e bassi, più i secondi che i primi, racconto fedele nobilitato dalla memoria. Una memoria paga del presente, pare di capire, che tace sui torti, le storture del sistema sanitario e i santuari delle ingiustizie che dominavano al tempo in cui il dott Antonio cercava una collocazione professionale almeno accettabile, almeno riconosciuta da chi di dovere… Invece, niente. Precarietà, sofferenze, difficoltà che sanno bene tutti quelli che entrarono – tentarono, per dir meglio – nel sistema al tempo della pletora medica, dei concorsi guidati dalla politica, delle raccomandazioni, … e l’assenza totale di quella cosa civile che si chiama merito, competenze e capacità certificate. Come sarebbe se il mondo girasse come dovrebbe. Allora era così, oggi vai a capire! Il Nostro Astolfo è più scettico che arrabbiato sulla questione…vede in giro meno Ragione di sempre.
Torniamo a Panarese: è un po’ British, accenna alle storture e, signorilmente, sorvola, non tace, ma lascia il lettore che si immedesima e parteggia per lui davanti ad un bel muro di privacy. Nel 1979, all’inizio, sa che non è un predestinato, non ha altri in famiglia su quella strada, il papà è un bravo carabiniere di famiglia contadina dell’interno campano, secondo il più classico quadro sociale del nostro Novecento: i figli dei braccianti, o piccoli proprietari, meridionali e delle isole che si “promuovono” con la divisa, ma la realtà sociale è rigidamente gerarchica, si rimane poveri pur rappresentando lo Stato. Anzi, di più. Sembra di sentire Gramsci che racconta dei poliziotti e carabinieri sardi e siciliani a Torino negli scioperi del 1916 contro la guerra! Nei ’70 e dopo, le cose sono cambiate … pur restando immobili. L’autore sente il peso grande di questa solitudine e si impegna, lotta anche contro i propri dubbi intorno al futuro, la spunta con la forza di carattere, capisce bene quante cose siano più pesanti del terribile esame di Anatomia che supera in bellezza! Onore a lui e ai tanti che hanno fatto la medesima via con i propri mezzi. Con la modestia di chi sa di non essere unico, Antonio narra velocemente – troppo sembra ad Astolfo, abituato al poema infinito del suo creatore! – la personale Odissea tra il nobile volontariato al Policlinico, Casal di Principe, l’Asl di Pozzuoli, l’Ospedale Madonna delle Grazie, i riconoscimenti professionali e le delusioni, immaginiamo cocenti… Tace sempre sulle miserie, le beghe che in sottofondo al racconto si avvertono, le gelosie, che lui non nomina neppure. Accenna, tocca, sfiora la persistenza nella desolazione delinquenziale di Casale, tra bravacci armi in tasca, omicidi, prevaricazioni ostentate, tipi umani come il medico-imprenditore che resta in camice bianco solo per avere possibilità di … avventurette sessuali! Poi dice di Pozzuoli, di specializzazioni doppie, apprezzate ma poco riconosciute, in ambienti insopportabili ricordati ancora oggi con distanza ed educazione! E in questi passaggi, la vita personale, con vicende picaresche e demenziali, per niente comiche, nate da maldicenze inimmaginabili per chi non vive nei paesi, o tristi, come l’implosione della famiglia. Su tutto sembra brillare l’amicizia, quella fraterna, consolidata dal tempo con alcuni colleghi. E poi, la pagina più bella e “forte”, in questo narrare “basso”, più che essenziale: la morte del padre, con il dolore fisico accompagnato con l’occhio professionale e il cuore a freno per non turbare ancora di più la madre. “…mi venivano delle crisi di pianto, incontrollabili… Calde lacrime mi scendevano sul viso, singhiozzavo come … quel bambino che molti anni prima lui teneva per mano e… lo faceva sentire al sicuro e protetto da ogni male”. Dolore vero, ma senza le angosce di Zeno, l’inetto sveviano paziente di Freud…
E allora? Astolfo suggerisce di leggere il dott Panarese, gli dicono che oltre ad essere un ottimo medico, si prende cura della persona, non solo della malattia. E poi: non è forse stato il solo di questa difficile professione che si è presa la briga di raccontarci di sé in mezzo agli altri, cioè a noi? Non è roba da poco.
A.Panarese, 40 anni di medicina e dintorni, Youcanprint 2019