Era il pomeriggio di martedì 16 aprile 1912, il sole stava per calare e l’Angelina Madre, ancora attraccata al pontile, era oramai a pieno carico e appariva ben ferma e stabile. Fuori dalle acque del golfo di Pozzuoli, però, soffiava vento freddo proveniente da nord/nord-est che andava rinforzandosi man mano rendendo il mare sempre più increspato e minaccioso.
Il giorno prima, nelle gelide acque dei banchi di Terranova, era affondato il Titanic.
Ma i nostri uomini di bordo erano tranquilli, avevano da poco trascorso la Pasqua a casa insieme alle proprie famiglie e sapevano che dovevano riprendere il largo per poter guadagnare qualche soldo e poi non erano certo quelle le condizioni climatiche che avrebbero potuto creare grandi preoccupazioni. La maggior parte di loro vantava una lunga esperienza in mare e tutti sapevano che è sempre meglio avere un po’ di vento rispetto alla bonaccia che li obbligherebbe a fatiche extra.
Una barca non può fermarsi in mezzo al mare e quindi, a quel tempo, in assenza di vento si metteva la lancia in acqua con due o quattro rematori a bordo e si procedeva a trainarla; una fatica immane che metteva a dura prova la resistenza fisica dei marinai per ore ed ore.
Quel giorno però il vento c’era, anche se contrario rispetto alla rotta da seguire e con la luce solare ancora sufficiente l’equipaggio mollò gli ormeggi e lasciò le tranquille acque di Baia in direzione del porto di Civitavecchia trasportando qualche decina di tonnellate della nostra richiestissima pozzolana flegrea.
A bordo dell’Angelina Madre vi lavoravano 6 uomini; oltre a Vincenzo Scotto d’Abbusco, marinaio autorizzato al comando, vi erano tre esperti marinai: Luigi Romeo, Antonio e Salvatore Scotto d’Abbusco e due giovanissimi mozzi: Gaetano Schiano Moriello di 13 anni, imbarcato sul veliero già da sette mesi e Michele Scotto d’Apollonia di soli 12 anni ed alla sua primissima esperienza di lavoro in mare.
La destinazione era a circa 140 miglia marine, ma con il vento contrario si dovevano compiere “bordi di bolina” cioè procedere a zig zag alternando boline mure a dritta e boline mure a sinistra. In quella condizione il cammino percorso diventava ben superiore a quello minimo indispensabile e si procedeva quindi ad avanzare a poco più di 2 miglia all’ora. L’arrivo era così previsto per la mattinata del 19 aprile.
Il viaggio proseguì comunque tranquillo, ma il cielo si incupiva sempre più ed il mare, sotto la crescente forza dei freddi venti settentrionali, diventava sempre più grosso e minaccioso; le onde scuotevano di continuo l’imbarcazione provocando un rollio fastidioso e sempre più pericoloso.
Dopo circa 60 ore di navigazione, a sei miglia al largo di Fiumicino, arrivò una perturbazione atmosferica di eccezionale intensità e la barca, in balìa delle onde, non essendo dotata di vele di stabilizzazione, diventò ingovernabile.
A bordo dei mercantili era tacitamente stabilito che in ordine di importanza veniva prima la sicurezza del carico, poi quella della nave e solo dopo quella dell’equipaggio; a quel punto, per scongiurare incidenti dovuti allo spostamento del carico, il capitano fu costretto ad un’azione estrema: mandò tutti gli uomini in coperta, eccezion fatta per il mozzo più piccolo, a gettare pozzolana in mare.
Ma forse quell’ordine, quel disperato tentativo di salvezza arrivò troppo tardi e non tutto andò per il verso giusto. Qualche ora dopo, alle 07:00 del 19 aprile, il capitano Vincenzo Scotto d’Abbusco, interrogato sull’accaduto presso gli uffici della Regia Capitaneria di Porto di Civitavecchia, dichiarò quanto segue:
“…siamo stati colti da un violento fortunale da Greco-Tramontana con pioggia, grandine, vento e mare agitatissimo. Mollata la randa e poggiata la scotta al vento per tentare di alleggerire il bastimento con gettare parte del carico, il veliero ha incominciato a rollare fortemente. E sotto una rollata lo Schiano Moriello Gaetano che in quel momento si trovava in coperta a poppavia completamente vestito dell’incerata e delle scarpe chiodate è scivolato precipitando in mare e gridando soccorso.
Erano circa le 4 antimeridiane. Ho risposto all’appello del disgraziato mettendo il bastimento subito in orza e immediatamente facendo gettare in mare due tavoloni da sbarco gridandogli di afferrarvisi.
Era buio ed il mare era grosso, la lancia di bordo era in coperta legata ed assicurata con funi, non avrei potuto del resto metterla in mare essendo essa troppo piccola ed offrendo quindi nessuna garanzia di salvezza neanche per coloro che si fossero messi alla ricerca del naufrago, dato lo stato del mare.
Ho quindi creduto meglio alzare nuovamente a riva la randa, virare di bordo e ritornare col veliero sul luogo dove era caduto lo Schiano.
Son ripassato vicino ai tavoloni e vi ho girato intorno per circa due ore. Intanto erasi già fatto giorno senza più ritrovare l’infelice che era così miseramente scomparso.
Egli era mio parente e tutti a bordo gli volevamo bene. Era imbarcato fin dall’11 settembre 1911 e mai ho avuto occasione di rimproverarlo perché di indole eccellente.
Ha lasciato pochi centesimi, alcuni effetti di vestiario, un credito di circa 10 lire.”
Gaetano Schiano Moriello era nato a Monte di Procida il 7 agosto del 1898, alle 13:15 in via Casevecchie e probabilmente avrebbe voluto diventare un bravo marinaio, come suo padre Salvatore, ma a casa della madre Maria Giovanna Scotto d’Aniello non fece più ritorno: il suo corpo non fu mai più ritrovato. Aveva solo 13 anni ed una fatica da adulto; è il più giovane dei nostri marittimi dispersi in mare.
Riposa in pace piccolo, grande marinaio montese!
…with <3
— Pasquale Mancino