Alcuni ricordi di Monte di Procida ’60.
Le prime elezioni comunali alle quali io partecipai furono quelle del novembre 1960 e fu quella l’occasione in cui si cominciarono a sentire le prime istanze di rinnovamento.
Non fui io il capolista ma fui comunque il primo eletto della lista.
E fu proprio in questa circostanza che io cominciai ad analizzare le condizioni del popolo montese, della popolazione montese, a conoscere tutta la semplicità di animo e la bontà dei profondi sentimenti.
Bisogna comunque riconoscere che vi era nel paese una profonda depressione culturale.
Infatti le autorità dell’epoca non si erano neanche preoccupate di chiedere alle autorità competenti l’istituzione della scuola media. Da ciò derivava una bassa scolarizzazione della gioventù con conseguente precoce ingresso nei vari campi delle attività lavorative locali.
Quindi niente scuola ma lavoro minorile sfruttato spesso nella maniera più bieca possibile. All’età di 12-14 anni gettati sui piccoli velieri del tempo chiamati spesso a fronteggiare le imponenti tempeste del mediterraneo; certo che nel momento della paura e del terrore non potevano fare altro che invocare la mamma che probabilmente, a sua volta, con la voce rotta dal pianto, invocava
“Madonna mia, salvalo tu“, a pensare comunque che tante madri ebbero, inconsolabili, a piangere i propri figliuoli strappati nel fiore della vita dalla crudeltà del mare e dall’insipienza degli armatori.
Ricordo la Monte di Procida per metà legata alla terra e per l’altra metà con l’occhio attento alle trasformazioni del mondo esterno che comportava certamente uno strappo con i valori tradizionali.
Certo che già allora era iniziata una lenta trasformazione dell’economia contese con l’intensificarsi dell’attività di estrazione di tufo e di pozzolana che comunque produceva notevoli danni ambientali. Furono innanzitutto queste attività che generarono un primo accumulo di ricchezza da parte di alcune famiglie montesi.
Queste ricchezze ben presto diventarono un primo nucleo di capitalismo locale su cui si innestò un primo tentativo di capitalismo armatoriale. Il tutto non fu sostenuto da un credito bancario adeguato per cui il piccolo armatore montese doveva far conto solamente sulle sue forze. Ciò comportava anche che le navi acquistate non fossero di prima scelta e quindi maggiori erano i pericoli di sciagure che furono tante e comportarono la perdita di tanti velieri e purtroppo la perdita di tanti marinai montesi.
Ciò non pertanto bisogna ammettere che tutto ciò fu una grande scuola di coraggio e di perizia marinara. La trasformazione dell’economia montese passò attraverso diverse fasi.
Nemmeno va dimenticata parte della coltivazione della vite con l’ottimo “Aglianico” e la famosa “Falangina” che sono fiori all’occhiello di un antico contadino montese. Ingente, pur anche l’attività estrattiva di tufo e pozzolana.
Ricordo quando nelle serate d’estate si andava a passeggio verso Torregaveta un’insieme di amici e si sentiva nelle notti di luna piena il battito del maglio sulla zeppa nella cava di tufo confinante con la strada.
Sono ricordi antichi che risalgono all’età in cui sembra che tutto possa essere cambiato senza tener conto di ciò che tutto cambia, perché tutto rimanga come prima.
Bisogna anche ricordare la Monte di Procida contadina, vagamente bucolica con i suoi casolari sparsi per campagna con i loro comignoli fumanti all’ora del vespro e l’odore del pane fresco che veniva generosamente offerto con una fetta di ventresca ed un magnifico bicchiere di Aglianico o meglio ancora di Aglianicuccio.
Sono ricordi di un tempo che fu, irripetibili e che più non torneranno.
Bisogna pur trarre qualche conclusione dalle considerazioni sin qui fatte; mi sembra di poter concludere che i montesi fossero ingessati perché stretti alla necessità del conseguimento di alcuni basilari diritti civili e la insensibilità della sua classe dirigente.
Dalla coscienza e dalla certezza dell’inadeguatezza assoluta cominciò la lenta presa di coscienza che fosse necessario cambiare il gruppo dirigente del paese.
Ed è da queste considerazioni degli anni ’60 io ed i miei amici partimmo all’attacco di questa insulsa classe dirigente.
Ma di questo parleremo la prossima volta.
Prof. Pino Scotto di Perta