Un’importante scoperta scientifica svela per la prima volta la struttura profonda del vulcano dei Campi Flegrei, grazie a una nuova tecnologia che “fotografa” l’interno della Terra fino a 20 chilometri di profondità. Il risultato? Un’immagine inedita e dettagliata del sistema magmatico che si nasconde sotto uno dei vulcani più pericolosi d’Europa. Un gruppo internazionale di ricercatori, guidato dall’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia (INGV), ha utilizzato una tecnica chiamata tomografia magnetotellurica 3D. In parole semplici, è come fare una TAC alla Terra, usando le variazioni naturali dei campi elettrici e magnetici per “vedere” cosa c’è nel sottosuolo. Per la prima volta, questa indagine ha permesso di ottenere una visione completa fino a 20 km di profondità, rivelando un enorme sistema magmatico che attraversa tutta la crosta terrestre sotto la caldera.
I ricercatori hanno identificato:
- Una grande zona a bassa resistività tra 8 e 20 km di profondità (chiamata C0), che indica la presenza di un “mush” magmatico: una massa parzialmente fusa di cristalli e magma. Contiene circa il 10% di magma liquido su un volume stimato di 900 km³.
- Canali verticali (FC) che collegano il profondo serbatoio magmatico con zone più superficiali, fungendo da autostrade per magma e gas.
- Strutture intermedie (tra 3 e 8 km) dove il magma si accumula temporaneamente in piccole “sacche”.
- Strati più superficiali, dove i gas e i fluidi magmatici hanno alterato le rocce, creando zone di argille e depositi vulcanici modificati.
Il sistema dei Campi Flegrei è uno dei più monitorati al mondo perché, pur avendo avuto la sua ultima eruzione nel 1538, mostra segni continui di “unrest”, cioè agitazione interna: sollevamento del suolo, terremoti e variazioni nei gas vulcanici. Con oltre 500.000 persone che vivono nelle vicinanze, è fondamentale capire dove si trova il magma, come si muove e cosa potrebbe succedere in futuro. Questa nuova “radiografia” del vulcano permetterà ai vulcanologi di prevedere meglio le fasi di agitazione e di elaborare modelli più precisi per la gestione del rischio. Il lavoro è durato oltre un anno e ha coinvolto 42 punti di misura a terra e 6 in mare, con strumenti sensibili piazzati perfino sul fondale del Golfo di Pozzuoli. Una vera impresa, considerando le difficoltà legate alla presenza di edifici, strade e disturbi elettrici.
“Studiare i Campi Flegrei è una sfida non solo scientifica ma anche tecnologica e logistica”, spiega la ricercatrice INGV Maria Giulia Di Giuseppe.
La nuova mappa tridimensionale sarà uno strumento fondamentale per i futuri monitoraggi. Sapere dove si trova il magma, come e dove si sposta, permette di interpretare meglio i segnali d’allarme (come terremoti o emissioni di gas) e di pianificare eventuali risposte in caso di emergenza.
“Capire l’architettura interna del vulcano è essenziale per proteggerci. Più conosciamo, più possiamo prepararci”, afferma Roberto Isaia, primo autore dello studio.
Link allo studio: Nature Communications Earth & Environment
