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In memoria di Michele Sovente, il poeta di Cappella che ha dato voce ai Campi Flegrei

La mattina del 25 marzo 2011 i Campi Flegrei (e l’Italia) perdevano una delle loro voci poetiche più autorevoli. Si spegneva infatti a 62 anni Michele Sovente, poeta nato e vissuto a Cappella, nucleo storico del comune di Monte di Procida. Egli stesso rivendicava con orgoglio queste radici. Michele ci teneva tanto a dire che sì, era nato ai Campi Flegrei ma esattamente a Cappella. In un suo verso autobiografico, il poeta descrive così il legame viscerale con la casa dei genitori e con la sua terra:

«A Cappella, in via Petrara, io vivo / sempre qui ho vissuto in casa dei miei / dove respiro e tesso ombre di corvi che si intrecciano con leggende di famiglia»

Questi versi, tratti dalla raccolta Carbones (Garzanti, 2002), evocano l’atmosfera di Cappella e suggeriscono quanto la sua identità fosse intrecciata a quel luogo. Non è un caso che Casa Sovente sorgesse accanto all’antica necropoli romana di Cappella: al piano più alto di quella dimora il poeta componeva i suoi testi osservando il paesaggio flegreo, dove “grida di mercanti e voci sovrannaturali” si sovrappongono da secoli. Questo dialogo incessante tra passato e presente, tra i miti sepolti sotto la piazza del paese e la vita quotidiana della comunità, alimentava la sua immaginazione.

Sovente, laureato in lettere, insegnò antropologia culturale all’Accademia di Belle Arti di Napoli e collaborò per anni con il quotidiano Il Mattino, ma non abbandonò mai la quiete appartata di Cappella. Viene ricordato come uno dei maggiori poeti neodialettali contemporanei. La sua voce si distingue per uno stile originalissimo che affonda le radici nel suo territorio. La terra flegrea, con la sua storia millenaria e il suo carattere “sulfureo”, fu sempre al centro della sua poesia: i riferimenti ai Campi Flegrei, a Cuma, a Miseno e al fenomeno del bradisismo ricorrono nei suoi versi, conferendo loro una forte impronta locale e quasi tellurica.

La produzione poetica di Michele Sovente è un unicum, caratterizzato dall’intreccio di tre lingue diverse. Come notò un commentatore, «lo faceva in tre lingue: in latino, in italiano e in napoletano (nella variante sulfurea di Cappella)». Sovente stesso spesso elaborava la medesima poesia in italiano, in dialetto e in latino, esplorando le potenzialità espressive di ciascuna lingua. Non si trattava di un esercizio erudito fine a se stesso, bensì di una necessità artistica profonda: «tra latino, italiano e dialetto non ci sono divergenze o contrapposizioni», affermava il poeta, suggerendo che questi idiomi convivono e si completano a vicenda. In effetti, come è stato osservato, le sue “lingue-visioni” non si pongono in contrasto ma in rapporto complementare, come parti indispensabili di un’unità culturale.

Michele Sovente amava raccontare un aneddoto che ben illustra questo trilinguismo: a casa sua, diceva, parlava in dialetto cappellese al primo piano con la madre, in italiano al secondo piano con il nipote, e in latino al terzo piano da solo, dialogando con i grandi spiriti della poesia. Per lui il latino era il “punto di tramite” tra l’italiano e il dialetto e fungeva da memoria linguistica del territorio, con una musicalità unica e irripetibile. L’italiano dei suoi testi, invece, è volutamente semplice e quotidiano, quasi a fare da ponte: una lingua chiara che unisce, proprio come Cappella univa Miseno e Cuma in antichità, il vernacolo locale e il latino dotto.

Il dialetto cappellese, variante cruda ma musicale del napoletano, gli veniva naturale, era la lingua di sua madre, “dell’incontro con la vita” e gli consentiva di inserire nei versi il sapore autentico della sua terra. Allo stesso tempo, il latino reinventato di Sovente non è quello dei classici o della liturgia: è un latino “parlato”, filtrato attraverso strutture metriche moderne, che richiama tanto i suoi studi in seminario quanto le radici antiche di Aenaria e Cumae.

Questa audace commistione linguistica trovò pieno compimento in una delle sue opere più celebri, Cumae (Marsilio, 1998). Il libro, dedicato all’antica città di Cuma, patria della Sibilla, attirò immediatamente l’attenzione della critica e vinse il Premio Viareggio per la poesia nel 1998. Cumae rappresenta un caso atipico: lingue dai più considerate morte, come il latino e il dialetto, tornano qui a confrontarsi e dialogare in una poesia di straordinaria forza espressiva. A fare da sfondo è il paesaggio mitologico dei Campi Flegrei, “luogo sulfureo dell’anima” che riecheggia nei versi soventiani traducendosi in suoni, grida e rumori tellurici. Ne scaturisce una poesia insieme arcaica e sperimentale, in cui la parola recupera le proprie radici profonde ma le reinterpreta per dare voce alle inquietudini del presente.

Il percorso letterario di Michele Sovente si snoda in una serie di raccolte poetiche dall’alto valore innovativo. L’uomo al naturale (Vallecchi, 1978), sua opera d’esordio, e la successiva Contropar(ab)ola (1981) affrontano già i grandi temi che lo interesseranno: inizialmente la denuncia degli “errori e orrori” della società dei consumi e dell’alienazione contemporanea, successivamente la ricerca di un nuovo linguaggio poetico capace di esprimere i contrasti dell’esistenza con coerenza intellettuale. Negli anni ’90 Sovente approda a una poesia sempre più intrisa di spiritualità e mistero: con Per specula aenigmatis (Garzanti, 1990) esplora la dimensione enigmatica del sacro (un suo testo di questa raccolta, In corpore antiquo, venne trasmesso come radiodramma su Rai Radio3 nel 1990.

A consolidare la sua fama arriva poi Cumae (1998), di cui si è detto, opera in cui l’autore mette in scena una vera e propria “trinità linguistica” al servizio di visioni mitiche e storiche. Dopo Cumae, Sovente prosegue con raccolte che rinsaldano il legame con la sua terra: Carbones (Garzanti, 2002) e Zolfo (2004) evocano già nel titolo elementi materici (il carbone, lo zolfo) tipici dei Campi Flegrei, mentre Bradisismo (2008) richiama esplicitamente il fenomeno geologico che interessa l’area flegrea. La sua ultima pubblicazione in vita fu Superstiti (2010), quasi un testamento poetico in cui convivono i “sopravvissuti” del passato e del presente.

Nei versi di Sovente ritroviamo spesso simboli e immagini arcaiche, l’acqua, il fuoco, la luna, lo specchio, il cerchio, intrecciate con la realtà quotidiana. Si percepisce una costante tensione tra sacro e profano, tra memoria e attualità, che il poeta risolve in uno sguardo visionario. Emblematico, in tal senso, è il componimento L’uomo che parlava al buio, il cui titolo suggerisce il dialogo del poeta con l’oscurità: qui Sovente sembra dare voce a ciò che è nascosto nel buio, portando alla luce emozioni e verità sepolte. Questa capacità di parlare all’ignoto, di far risuonare il passato nel presente, è un tratto distintivo della sua poetica.

Va ricordato anche il contributo di Sovente alla poesia in napoletano, cui ha donato nuova linfa. Egli ha scritto versi nel vernacolo cappellese che colpiscono per la loro forza plastica e sonora. Ad esempio, nella poesia ’I rriggiòle (Le piastrelle), descrive in dialetto una vecchia casa scossa da forze profonde: «Senghiàte trèmmano ’i rriggiòle quanno ce cammini, tutt’ ’a casa abballa» (“Le piastrelle lesionate tremano appena ci cammini, tutta la casa balla”). In pochi tratti, Sovente evoca l’immagine di un pavimento che trema e di una casa che “balla”, metafora potente del movimento tellurico bradisismico che anima la sua terra. Anche attraverso il dialetto, lingua materna e primordiale, il poeta flegreo riesce dunque a fondere elemento locale e respiro universale, quotidianità e mito.

La comunità locale non ha mai dimenticato la voce del “poeta cappellese”. Già nel luglio 2011 il Comune di Monte di Procida ha voluto onorarlo intitolandogli la piazza principale di Cappella. Anni dopo, nel 2022, un maestoso murale è apparso su una facciata della sua casa di Cappella: vi campeggia il volto sorridente di Sovente su fondo blu, affiancato dai suoi versi, a ispirare le nuove generazioni al recupero delle proprie radici. Questo omaggio artistico, realizzato dalla street artist Leticia Mandragora, è la conferma di quanto il poeta sia entrato nell’immaginario collettivo del luogo.

A 14 anni dalla scomparsa, Michele Sovente viene ricordato non solo per il valore intrinseco della sua poesia, ma anche come “custode delle tradizioni, esploratore della lingua e ambasciatore della cultura” flegrea. I suoi testi continuano a essere letti, studiati e amati. Hanno infatti dimostrato che la poesia dialettale può raggiungere alte vette letterarie e che persino il latino, lingua “morta” per eccellenza, può tornare a vibrare di vita in versi contemporanei. Sovente ha saputo collegare mondi lontani nel tempo (dall’idioma contadino alle vestigia di Roma antica) e dare forma poetica alle voci dei Campi Flegrei, facendosi ponte tra passato e presente, tra terra e cielo, tra lingua e musica.

La voce di Michele Sovente, potente e inconfondibile, rimane così un patrimonio vivo della letteratura italiana ed un orgoglio per la sua Cappella, che attraverso di lui ha parlato al mondo in “tre lingue” senza mai tradire la propria anima.

Riposa in pace, maestro!

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