La nebbia, densa e opprimente, avvolgeva la Riviera genovese la sera del 17 marzo 1961, paralizzando il traffico e gettando un velo di mistero sul porto di Genova. Quella notte avrebbe segnato per sempre la memoria di molti, come un capitolo oscuro e drammatico.
La piccola motonave da carico “Prima Tomei“, con le sue 709 tonnellate di stazza lorda, iscritta al compartimento marittimo di Viareggio e di proprietà dell’armatore Umberto Tomei, si trovava in mare aperto. Ma la nebbia non concedeva clemenza, oscurando ogni punto di riferimento, privando l’equipaggio di ogni orientamento.
Alle 21:35 del 17 marzo 1961, la radio marittima di Genova catturava il segnale di soccorso disperato della Prima Tomei.
Il comandante, inghiottito dalla nebbia, perse l’orientamento e la nave si infranse contro la scogliera della diga foranea. La tragedia sembrava inevitabile ed il destino giocava crudele con gli uomini a bordo. La posizione segnalata dal marconista si rivelò errata, ritardando le operazioni di soccorso e aumentando l’angoscia di chi stava lottando per la vita in mezzo al mare agitato.
Ma il destino, a volte, concede una tregua anche nelle notti più buie. Poco dopo le ore 23, un improvviso squarcio nella nebbia offrì un barlume di speranza. Una motovedetta della Guardia di Finanza, incrociando proprio dinanzi a Ponte Libia, scorse la silhouette della motonave sommersa e dei naufraghi lottare contro le onde.
I dieci uomini della Prima Tomei, abbracciati dalle scialuppe di salvataggio, erano stremati ma determinati a sopravvivere.
La motovedetta li issò a bordo, portandoli in salvo verso la terraferma, ma il loro viaggio non finiva lì. I dieci uomini, nomi scolpiti nella memoria di una notte di terrore, vennero alloggiati provvisoriamente in un albergo, in attesa di ritrovare il calore delle loro case e delle loro famiglie.
Gennaro Jovine, Domenico Fevola, Biagio Coppola, Salvatore Scotto Lavina, erano tutti marittimi di Monte di Procida. Con loro a bordo c’erano Achille Biagini, Alberto Domintei, Gaetano Lauro (di Ischia), Antonio Scotto (di Napoli), Costonez De Vivo: nomi che ora risplendono come testimoni di una storia di coraggio e sopravvivenza. Ma dietro le facce stanche e gli occhi segnati dalla paura, si nascondeva la drammaticità di una notte senza fine.
Si scoprì, che quando la nave colpì la scogliera protettiva, l’acqua invase rapidamente le stive ed il natante iniziò a sbandare, in conseguenza anche del carico di sale che si era spostato da un lato, trascinando con sé il peso del destino. Le scialuppe furono l’ultimo rifugio, un fragile barlume di speranza in mezzo alla tempesta.
Lanciato l’S.O.S., restava solo il tempo di recuperare i libri di bordo ed aggrapparsi alla scialuppa.
Il comandante ed i suoi uomini, testimoni e protagonisti di quella notte infernale, vennero poi chiamati a rendere conto dei fatti, di fronte agli occhi scrutatori della giustizia marittima. Nelle loro dichiarazioni discordanti e confuse, emerse la triste verità di una notte vissuta nell’oscurità più totale.
Ma in mezzo alle ombre della nebbia ed alle acque agitate del mare, gli uomini della Prima Tomei avevano lottato contro le avversità e contro se stessi, ma erano sopravvissuti, riuscendo ad emergere dalla sciagura come testimoni viventi della forza e della resilienza umana.
Pasquale Mancino