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Cinquant’anni fa, la tragedia della nave Omega: un ricordo indelebile per Monte di Procida

Cinquant’anni fa, il mare in tempesta al largo della Sardegna divenne teatro di una tragedia che ha segnato profondamente la comunità di Monte di Procida: l’affondamento del mercantile Omega, con la perdita di sette sfortunati marittimi del nostro piccolo comune.

Oggi, vogliamo ricordare quel tragico evento, rendendo omaggio ai valorosi uomini che persero la vita e al capitano che sopravvisse, testimone di una notte di disperazione e coraggio.

L’Omega, un mercantile di 497 tonnellate di stazza lorda, iscritto al compartimento marittimo di Cagliari, navigava con le stive vuote proveniente da Sfax, in Tunisia, e diretto a Viareggio. Prima di incontrare il suo destino fatale, l’Omega aveva già manifestato alcune difficoltà. Durante il suo viaggio, il mercantile si trovò in pericolo al largo di Capo Carbonara, all’estremo sud della Sardegna, tanto da lanciare un S.O.S. che fu raccolto da una unità di appoggio della flotta sovietica nel Mediterraneo. Per alcune ore, una nave russa rimase al fianco dell’Omega, finché non fu comunicato che il mercantile poteva proseguire con i propri mezzi. Ma, poco dopo, un improvviso peggioramento delle condizioni meteorologiche mise nuovamente in difficoltà la nave, a una ventina di miglia da Olbia.

La sera del 17 febbraio 1974, mentre tentava di navigare in condizioni di mare estremamente avverse, l’Omega urtò contro i cosiddetti “Scogli dei Fratelli”, conosciuti anche come i “Cerri”, ad est dell’isola di Molara e si inabissò rapidamente. Questo urto fatale segnò l’inizio di una disperata lotta per la sopravvivenza.

Dell’equipaggio composto da otto uomini, tutti di Monte di Procida, si salvò solo il comandante, Domenico Barone, allora ventisettenne. Dopo aver lottato contro le onde furiose del mare per un’intera notte, aggrappato a una trave di legno, riuscì a raggiungere a nuoto l’isola di Tavolara. I suoi sintomi di assideramento e un principio di broncopolmonite testimoniavano la gravità delle sue condizioni e la durezza delle ore trascorse in balia del mare.

Alle autorità locali, il capitano Barone, in evidente stato di choc, dichiarò: “Eravamo a poche miglia dall’isola di Tavolara, all’imbrunire, quando all’improvviso abbiamo sentito un boato. Credevamo fosse un’esplosione, cosi ho dato l’ordine all’equipaggio di approntare la scialuppa e di prepararsi ad abbandonare la nave. Non ne abbiamo avuto però il tempo: la nave si è rapidamente inclinata ed ha preso ad affondare. Senza perdere altro tempo ci siamo buttati in acqua“.

La Capitaneria di Porto di Olbia avviò immediatamente un’operazione di ricerca e soccorso, coinvolgendo numerose imbarcazioni nella speranza di trovare sopravvissuti. Tra i partecipanti alle operazioni vi erano i traghetti delle Ferrovie dello Stato, Tyrsus e Golfo Aranci, insieme alla motonave Sardegna e al rimorchiatore Terralba, che setacciarono il mare per tutta la giornata del 18 febbraio 1974.

Tra le isole di Tavolara e Molara, vennero avvistati alcuni salvagenti ed una zattera, ma non fu possibile confermare la loro appartenenza all’Omega. Anche i servizi di guardia costiera e le squadre di avvistamento costiero vennero mobilitati, con l’obiettivo di verificare se altri naufraghi fossero riusciti a raggiungere la riva, seguendo l’esempio di coraggio e tenacia dimostrato dal comandante Barone. Ma, nonostante le minuziose ricerche, non venne avvistato nessuno dei montesi dispersi.

I sette marinai scomparsi, il macchinista Domenico Scotto Di Perta, il motorista Mario Di Meo, i marinai Francesco Gurdascione, Ciro Schiano Di Cola, Gennaro Scotto, Antonio Parascandola, il mozzo Pasquale Cacciapuoti, rimangono nella memoria della nostra comunità come eroi che hanno affrontato con coraggio l’implacabile furia del mare.

I corpi di questi sette marinai montesi non furono mai più ritrovati, ad eccezione di uno, recuperato il 5 marzo, le cui correnti lo avevano portato nei pressi dell’isola di Mortorio. Era il corpo del marinaio Francesco Guardascione.

Oggi, mentre commemoriamo il cinquantesimo anniversario di questa tragedia, il nostro pensiero va a tutte quelle famiglie di Monte di Procida che hanno perso i loro cari in mare. Il ricordo di quella notte e dei valorosi uomini dell’Omega continuerà a vivere nei cuori della nostra comunità, come monito della forza implacabile del mare e del coraggio umano di fronte alla disperazione.

Il relitto dell’Omega, ancora oggi, riposa sul fondale sabbioso a 17 metri di profondità, vicino allo “Scoglio dei Fratelli”, a est dell’isola della Molara, custode silenzioso di una storia di coraggio, tragedia e perdita che non sarà mai dimenticata.

Pasquale Mancino

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