Fino alla fine degli anni ’70 del 1900, a Monte di Procida, c’era un’usanza particolare che sottolineava il calore della nostra comunità durante il giorno di Natale.
Questa vecchia tradizione natalizia offre uno sguardo affascinante su come le usanze locali possano arricchire il significato della festività.
Il giorno di Natale, una graziosa statuetta di Gesù Bambino, finemente avvolta in tessuti pregiati, veniva posta amabilmente in una piccola cesta di vimini. Questo cestino, simbolo di gioia e celebrazione, non rimaneva in un luogo fisso, ma veniva portato di casa in casa.
Ciascuna delle parrocchie montesi inviava in giro per il proprio territorio di competenza, una o più statuette del bambino Gesù, affidandole a due o più membri della comunità parrocchiale.
Di solito, “u canìsto c’ù Bambinié” faceva la sua comparsa durante l’ora del pranzo di Natale, quando tutte le famiglie erano amorevolmente riunite a tavola e veniva annunciato da una serie di colpi di “bott’a mmùro“, un tipico fuoco d’artificio natalizio che veniva lanciato contro una parete muraria, generando un forte fragore ma con effetti molto limitati.
Questa è la ragione per cui si usa l’espressione “bott’a mmùro” per descrivere una persona che alza la voce, si agita, magari finge di essere audace facendo il “guappo”, ma poi scompare dalla scena senza lasciare nulla di concreto dietro di sé.
L’atto di portare il bambinello “casa casa” non era semplicemente un trasporto fisico di un oggetto sacro, ma un rituale carico di significato e di partecipazione collettiva.
Mentre la statuetta passava dalla soglia di una casa all’altra, i montesi erano invitati a partecipare ad un gesto di devozione e di affetto: dare un bacio alla statuetta di Gesù Bambino nel giorno della sua nascita. Questo bacio era più di un semplice gesto fisico; era un atto di venerazione, un simbolo di benedizione per la casa ed i suoi dimoranti ed un segno di unione e solidarietà nella comunità.
Dopo aver baciato la statuetta, gli adulti di casa deponevano nel cestino una moneta da poche lire, un gesto simbolico di offerta e benedizione. Queste monete, sebbene di modesto valore materiale, rappresentavano un contributo significativo, un segno di gratitudine e di partecipazione alla vita della comunità e della chiesa.
Ogni bacio impresso sulla statuetta rappresentava un legame personale ed emotivo con il divino, specchio della profonda fede e spiritualità dei nostri antenati. Era anche un modo per accogliere “fisicamente” il Natale nelle case, unendo il sacro con il quotidiano. La tradizione enfatizzava la natura collettiva della festa, promuovendo la condivisione, l’ospitalità e la comunità stessa.
Col tempo, queste pratiche sono scomparse, per motivi di igiene e cambiamenti sociali, ma il ricordo di tali tradizioni rimane un tesoro culturale che rispecchia la fede, la spiritualità e il senso di appartenenza del passato.
Ci ricordano di un’epoca in cui la collettività e la condivisione avevano un ruolo centrale nelle celebrazioni natalizie e sottolineano l’importanza di mantenere vive le tradizioni locali che aggiungono profondità e colore al tessuto della nostra comunità.
–Pasquale Mancino