La tensione tra i coloni montesi ed i parroci di Bacoli ha radici storiche profonde e abbraccia una serie di eventi che si sono susseguiti nel corso dei secoli. Questa tensione ha avuto origine dalla contesa per la giurisdizione religiosa e il dominio spirituale sulla comunità. Tale conflitto ha scatenato controversie legali, divisioni all’interno della comunità e una serie di dispute che si sono protratte per molti decenni.
La storia di Monte di Procida nel XVII secolo inizia con l’arrivo dei coloni procidani sulla terraferma, motivati dall’iniziativa della mensa arcivescovile di Napoli, di concedere in enfiteusi i terreni del Monte.
Oltre a cercare lavoro, i coloni desideravano anche un luogo di culto dove poter pregare e unirsi spiritualmente. L’arcivescovo di Napoli, il cardinale Ascanio Filomarino, acconsentì alla costruzione di una cappella, dove i preti procidani celebravano messe durante le domeniche e le festività solenni. La piccola chiesa fu eretta nel 1644 sotto il titolo dell’Assunta in Cielo.
Ma, la situazione religiosa si complicò nel 1700 quando Giuseppe Falces, vescovo di Pozzuoli, costituì la parrocchia di sant’Anna a Bacoli, assegnando ad essa i territori di Baia, Cuma, Miseno e Monte di Procida. Questo portò a una reazione avversa da parte dei parroci di Procida e Posillipo, che non volevano perdere i loro parrocchiani originari.
Ci furono contestazioni e ricorsi giudiziari, ma alla fine, nel 1701, un decreto confermò l’appartenenza del Monte di Procida alla giurisdizione del parroco di Bacoli. Molti coloni del Monte, però, continuarono a sposarsi, battezzare i loro figli e prendere i sacramenti a Procida, mantenendo un forte legame con la loro terra d’origine. In quel periodo la tensione tra i coloni e i parroci di Bacoli raggiunse livelli elevati.
Nel 1742, il cardinale Spinelli visitò la chiesa eretta dai coloni e dispose che fosse ampliata.
Nel 1754, il parroco di Bacoli, osservando con invidia l’attenzione e il favore che gli Arcivescovi di Napoli riservavano alla chiesa del Monte, insieme ai suoi parrocchiani, collocò “clandestinamente” una lapide nella chiesa dell’Assunta, dichiarandola sotto la giurisdizione del Vescovo di Pozzuoli. Questo avvenimento suscitò la rabbia dei coloni montesi, che si sentirono minacciati nell’autonomia che tanto avevano difeso.
In risposta all’attentato alla loro indipendenza religiosa, i nostri antenati distrussero la lapide. Ma, quattro anni dopo, la lapide fu ripristinata nella chiesa con determinazione e strenua opposizione da parte del parroco di Bacoli.
Ecco il testo della prima lapide del 1754 (distrutta dai coloni montesi):
NICOLAUS DE ROSA E. PUS PUTEOLANUS REGIUSQUE CAPPELLANUS MAIOR INCOLARUM MONTIS SITI CONTINENTE VILLA BAULORUM DIOCESIS PUTEOLANAE BONO ET SALUTI… NE DOMINI SEMINE, AC SACRAMENTORUM FREQUENTIA CARERENT TEMPLUM PUTEOLANAE IURISDITIONIS DEO SUB SS. MAE VIRGINIS ASSUMPTAE AUSPICIIS DICATUM, ET REPARANDUM ET AMPLIANDUM ET IN GRANCIA, SIVE PARVAM PARO HIAM CONSTITUENDUM CURAVT, ILLUDQUE X KALENDAS IUNII AERAE VULGARIS. ANNO 1754 CONSEGNAVIT, DICAVITQUE.
Nicolaus de Rosa, nativo di Pozzuoli, cappellano reale e maggiore delle abitazioni del Monte sulla terraferma della villa dei Bacoli nella diocesi di Pozzuoli, per il bene e la salvezza… affinché non mancasse la semina del Signore e la frequenza dei sacramenti, provvide alla ricostruzione e all’espansione del tempio di Pozzuoli, soggetto alla giurisdizione dell’Assunzione della Santissima Vergine Maria, e fece istituire un granaio o piccola parrocchia. Egli consegnò e dedicò tutto ciò il 10 maggio dell’anno 1754, secondo il calendario dell’era comune.
Questo, invece, è il testo della seconda lapide del 1758, che è possibile vedere ancora oggi all’ingresso della navata di sinistra della nostra chiesa:
NICOLAUS DE ROSA NEAPOLITANUS, PUTEOLANUS EPISCOPUS, REGIUSQUE CAPPELLANUS MAIOR ECCLESIA IN DISTRICTU PARO- CHIAE S. ANNAE VILLAE BAULORUM DIOCESIS ET IURISDITIONIS PUTEOLANAE SITAM DEO SUB SS. MAE VIRGINIS ASSUMPTAE NOMINE, IAM PRIDEM SACRATA QUAM IPSE IN SANCTA VISITATIONE SAEPIUS LUSTRAVIT, ET IN QUA CARISMATE FIDELES LINIVIT, CONFIRMAVITQUE, SUAQUE PRAETEREA MUNIA PAROCHUS DICTAE S. ANNA E SEMPER ABIIT MOX FIDELIUM PIETATE DILATATAM, ET ORNATAM SOLEMNI ECCLESIAE RITU BENEDIXIT, EIUSQUE DEI MONUMENTUM CURAVIT AERAE VULGARIS ANNO 1758.
Nicolaus de Rosa, nato a Napoli, vescovo di Pozzuoli e cappellano maggiore della chiesa nel distretto della parrocchia di Santa Anna nella località di Bacoli, diocesi e giurisdizione di Pozzuoli, dedicò a Dio sotto il nome della Beata Vergine Assunta la chiesa che aveva spesso ispezionato in sante visite, nella quale ha istruito e confermato i fedeli con il suo carisma. Oltre ai suoi doveri di parroco di Santa Anna, egli la ampliò e la ornò con la solenne cerimonia della Chiesa e curò il monumento di Dio in questo luogo nell’anno 1758 dell’era comune.
La questione della giurisdizione religiosa venne sollevata e discussa in vari tribunali e corti ecclesiastiche.
Nel 1776, un considerevole gruppo di fedeli di Monte di Procida si rivolse alla curia di Pozzuoli con una supplica. Questi abitanti si trovavano in luoghi remoti, con strade difficili da percorrere ed erano anche afflitti da problemi di vecchiaia e infermità che rendevano complicato il loro accesso a Bacoli per ricevere i Sacramenti. Pertanto, implorarono la grazia di poter ricevere regolarmente i Sacramenti nella chiesa del Monte, che era la loro residenza.
Il parroco di Bacoli si oppose a questa supplica, ma nonostante la resistenza iniziale, il clima di tensione tra i coloni montesi e il vescovo di Pozzuoli iniziò a stemperarsi. Il documento segnò l’inizio del dialogo tra le due parti, un passo significativo verso la risoluzione del conflitto.
Nonostante gli sforzi del parroco di Bacoli per convincere i coloni a considerare Bacoli come un rifugio più vicino per i loro bisogni spirituali, i montesi rimasero saldamente ancorati all’idea di avere un proprio luogo di culto indipendente. Non desideravano dipendere dalla chiesa bacolese e volevano piena autonomia sulla loro chiesa.
Il vescovo di Pozzuoli sollevò nuovamente la questione della giurisdizione sui coloni procidani di fronte al governo e, finalmente, nel 1805 il problema fu affrontato mediante i decreti del 21 agosto e 18 settembre, con il trasferimento della soluzione alla giunta ecclesiastica che coinvolse il cappellano maggiore.
Nel 1806, con l’arrivo dei francesi di Bonaparte a Napoli e la fuga dell’apparato politico borbonico in Sicilia, la situazione ebbe una svolta. Tra i fuggiaschi c’era il cardinale Ruffo-Scilla, favorevole alle richieste dei coloni procidani.
La controversia fu portata avanti davanti a due prelati e un magistrato laico originario di Pozzuoli, che possedeva notevoli proprietà immobiliari nella zona. Mentre la curia arcivescovile di Napoli, con l’assistenza legale di Giovanni Jatta, difese le sue tesi per cercare di includere il Monte nella sua giurisdizione, sostenendo la tradizione secolare dell’isola di Procida.
Ma, dietro le quinte, l’abilità diplomatica e la saggezza di Carlo Rosini, vescovo di Pozzuoli, riuscirono a spostare l’attenzione della controversia sulla concretezza geografica e sui diritti storici dell’area.
Nel 1807, la giunta emise una sentenza favorevole alla diocesi di Pozzuoli e così la chiesa del Monte di Procida divenne parte integrante di questa diocesi, soggetta all’autorità del vescovo di Pozzuoli e nel 1811, la chiesa dell’Assunta venne assegnata alla parrocchia di Bacoli, ma la lotta per l’indipendenza religiosa dei montesi non si fermò.
Nel 1828, un terreno fu acquisito dalla vedova Intartaglia di Procida per la costruzione della sacrestia.
Nel 1853, fu stabilito che il Monte e la Falda (Cappella) sarebbero diventati indipendenti dalla chiesa di Bacoli e sarebbero stati gestiti da un economo curato, con l’eccezione dei matrimoni e dei battesimi.
Nel 1854, fu eretto un fonte battesimale nella chiesa del Monte.
Nel corso degli anni successivi, i montesi continuarono a cercare l’indipendenza religiosa e nel 1887, la chiesa dell’Assunta venne elevata a parrocchia autonoma e questo fu un importantissimo passo verso l’indipendenza religiosa dei nostri antenati.
La tensione tra i coloni del Monte ed i parroci di Bacoli è stata una questione complessa e controversa legata alla giurisdizione religiosa e al controllo spirituale sulla comunità. Questo conflitto ha portato a dispute legali, divisioni nella comunità e una serie di controversie che sono durate per diversi secoli prima di essere parzialmente risolte.
La storia di Monte di Procida è intrisa di tradizioni, tensioni e lotte per l’indipendenza economica, sociale e religiosa, che hanno contribuito a plasmare la comunità nel corso dei secoli ed oggi la chiesa di Monte di Procida celebra ancora le sue tradizionali festività, mantenendo vive le sue radici e tradizioni culturali.
–Pasquale Mancino