E’ morta Lina Wertmuller, aveva novantatré anni, lascia alle donne del nostro paese un’eredità incommensurabile.
“Ma questo Oscar!” Perché questo nome maschile? Non dovrebbe chiamarsi Oscar ma Anna …”, sono queste le parole che Lina Wertmuller dirà alla premiazione
dell’Oscar alla carriera del 2019 la cui cerimonia si è tenuta a San Francisco nel 2020.
Lina Wertmuller prima donna regista, eccentrica quanto basta (è nota la sua collezione di 5000 occhiali bianchi), solare, forte e creativa, sempre in controtendenza ai cliché del cinema italiano, ha saputo analizzare la società italiana confrontandone gli opposti in modo spregiudicato e semplice, per scardinarli. Ha fatto emergere le contraddizioni intrinseche e anche l’ipocrisia, in un’Italia che lei ama visceralmente, raccontando la lotta tra Nord e Sud, tra classi ricche e povere, tra comunisti e liberali, tra ordine e anarchia. Per la sua forza e tenacia nel perseguire i suoi scopi ed esprimere il suo talento sempre e comunque, lascia alle donne di questo paese un’eredità incommensurabile. L’eredità di chi, pur essendo donna, ha saputo far emergere il suo talento in un ambiente frequentato inizialmente da soli uomini, scegliendo per i suoi film sceneggiature che andavano a collocarla nel filone dell’anarchica e della femminista per chi non sapeva comprendere il suo essere fuori dagli schemi. Sempre provocatoria, sia con la macchina da presa che nelle sue interviste schiette, ha lasciato dire agli altri ogni cosa e incurante di ciò ha proseguito per la sua strada. Per lei il cinema era divertimento puro e creatività, “ al di là se si è donna o uomo, il cinema si fa se hai talento”.
E così se n’è andata all’età di novantatré anni Lina Wertmüller, anima libera e fiera; classe 1928, inizia come segretaria di edizione in …e Napoli canta di A. Grottini, nel 1960 sarà aiuto regista di Federico Fellini in La dolce Vita e nel 1963 in Otto e mezzo. Poi è un susseguirsi di successi fino al 1977, anno in cui grazie al film Pasqualino sette bellezze con Giancarlo Giannini, otterrà la nomina all’Oscar come miglior regia, miglior sceneggiatura e miglior film straniero. I suoi film avranno tutti o quasi, un titolo lunghissimo, scelto un po’ per divertimento
e un po’ per complicare la vita del suo pubblico, perché esso doveva continuare a pensarci su, una volta tornato a casa. Che cosa ha portato Lina Wertmuller al modo in cui l’Italia vedeva se stessa?
Abituata a prendere spunto per ogni suo film dalla vita reale, Lina Wertmuller non ha disdegnato di confrontarsi con le realtà sociali e politiche, le più diverse: dagli ambienti dei movimenti femministi, a quelli anarchici, a quelli del proletariato e a quelli borghesi; studiando ogni dettaglio di questi contesti per trovarne le crepe. Il suo modo di fare film a volte grottesco, altre visionario ma sempre molto concreto, ha riecheggiato Fellini ma anche Eduardo. La sua arte era di mettere in luce le numerose crepe che esistevano ed esistono ancora nella società italiana.
Chi non ricorda Travolti da un insolito destino in un azzurro mare d’agosto? Un film in cui Mariangela Melato bellissima, resta vittima di una passione travolgente durante un naufragio, con Giancarlo Giannini, rozzo marinaio siciliano, e poi decide di ritornare alla sua vita ordinaria di persona borghese e ricca con accanto un marito rassicurante?
I suoi film più noti: I basilischi, Mimì metallurgico ferito nell’onore, Film d’amore e d’anarchia, Travolti da un insolito destino nell’azzurro mare d’agosto, Pasqualino sette bellezze, Io speriamo che me la cavo, per citarne solo alcuni, sono tutti orientati a far emergere i drammi che tali crepe della società scatenano, ma anche la comicità.
E la verità è che di fronte a certa ipocrisia non si può fare altro che ridere, o sorridere pur rendendosi conto del male che produce. Lina Wertmuller tuttavia, ha saputo disegnare una donna nuova, l’ha fatto prima con l’irriverenza di una Rita Pavone e poi con una meravigliosa Mariangela Melato con cui ha girato molti suoi film, ed è anche per questo che tutte le donne hanno ricevuto
da lei un’eredità incommensurabile.
Ricordiamo volentieri che nel 1996 Lina Wertmüller ha diretto il film “Ninfa plebea”, tratto dall’omonimo romanzo di Domenico Rea vincitore del Premio Strega 1993, dove la protagonista Miluzza venne interpretata dalla nostra giovane compaesana Lucia Cara (Lucia Carannante).
Per le sue sceneggiature ricordiamo Fratello sole e sorella luna diretto da Franco Zeffirelli, un’interpretazione molto singolare e umana di S. Francesco e S. Chiara. E ancora tante sono le opere per il cinema, per la Tv e per il teatro che lei ha donato agli italiani. In una sua intervista del 2020 a Fabio Fazio, dopo aver ricevuto l’Oscar alla carriera, dirà al pubblico: “Vorrei dire al mio pubblico di non scordare mai di essere italiani perché è una grande qualità”. E’ anche per questo che ci lascia un’eredità incommensurabile, lei per metà di origine Svizzera, credeva nelle qualità del nostro
paese e di noi italiani, molto più di quanto ci crediamo noi.
Per tutto quanto, grazie Lina!
Assunta Esposito