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La scuola cattolica e il nostro dovere etico di riflessione e confronto. Recensione film di Assunta Esposito

La scuola cattolica e il nostro dovere etico di riflessione e confronto
di Assunta Esposito

La scuola cattolica, diretto dal regista Stefano Mordini, che ha partecipato fuori concorso alla 78ma Biennale del Cinema di Venezia e che è uscito nelle sale cinematografiche il 7 ottobre 2021 ha avuto la grande ambizione di portare  sul grande schermo il libro omonimo di Edoardo Albinati (1294 pagine e vincitore del Premio Strega del 2016), compagno di scuola dei tre autori del massacro del Circeo. Il massacro avvenuto tra il 29 e 30 settembre del 1975 fu messo in atto da, Angelo Izzo, Gianni Guido  e Andrea Ghira in una villa di proprietà della famiglia di quest’ultimo, dopo aver rapito essi  stuprarono e seviziarono  Donatella Colasanti e Rosaria Lopez che ne morì.

Il cast è formato da alcune “colonne” del cinema italiano come Valentina Cervi, Riccardo Scamarcio, Jasmine Trinca, Valeria Golino, Fabrizio Gifuni e interpreti emergenti come Benedetta Porcaroli (che interpreta Donatella Colasanti), Giulio Pranno (che è Andrea Ghira), Federica Torchetto (che veste i panni di Rosaria Lopez), Luca Vergoni (che interpreta Angelo Izzo), Francesco Cavallo (che è Gianni Guido),

Il film si discosta però notevolmente dal libro. Certo non è facile racchiudere in poche ore, 1250 pagine di testo narrativo, in cui vengono analizzati minuziosamente  le atmosfere che nel 1975 gli adolescenti respiravano per le strade, nell’Istituto San Luigi, (che era la scuola cattolica dove le famiglie del quartiere Trieste iscrivevano i propri figli maschi per educarli e istruirli a ruoli di prestigio nella società), e nelle stesse famiglie e nei movimenti politici allora esistenti.

Edoardo Albinati la cui figura,  pure compare come voce narrante nel film per creare il legame tra le numerose ‘cellule narrative’ del film,  descrive nel suo libro dello scontro di genere tra movimenti femministi e cultura maschilista, dello scontro politico tra fascisti e comunisti, dello scontro tra generazioni. Il teatro delle vicende è l’Istituto San Luigi del quartiere Trieste di Roma, un quartiere nord di Roma al confine con il quartiere Parioli. Un quartiere popolato dalla media e alta borghesia romana, fatta di professionisti, colletti bianchi e anche di  imprenditori che a quei tempi navigavano nell’oro. Nel libro Albinati descrive molto bene il tessuto sociale in cui vivevano i ragazzi. Lo fa sia quando definisce le figure dei genitori, (alcuni dei quali usavano le punizioni corporali per educare i propri figli, mentre altri invece usavano il denaro per tenerli buoni,) che quelle dei professori usciti da poco dal movimento del 68 e troppo progressisti per una scuola conservatrice e repressiva, che, degli adolescenti compagni di classe di Angelo Izzo, la mente-mostro del gruppo.  Descrive bene anche lo scontro tra i sessi. L’ossessione per il sesso che questi ragazzi avevano dettata proprio dalla sopravvenuta liberazione sessuale, il loro disprezzo per l’identità femminile.

“Essere nato maschio è un male incurabile ” continuerà a ripetere in molti capitoli del libro. . Si nota come il machismo diventa un’ossessione. Bisogna dimostrare continuamente di essere all’altezza della propria identità di genere.

Siamo nel 1975 anno della Riforma del diritto di Famiglia, la legge n. 171, che rivoluzionerà dal punto di vista etico-giuridico i rapporto uomo-donna nella famiglia. Due anni prima nel 1973 in Cile Pinochet ha fatto un colpo di Stato militare di cui in seguito ci giungeranno  le torture fatte agli studenti nel sottoscala dello stadio di Santiago durante la partita Italia-Argentina, e nel 1976 Videla farà il colpo di Stato in Argentina. Nel 1978 noi in Italia vivremo la strage di via Fani con il sequestro di Aldo Moro da parte delle BR, che poi culminerà nel suo assassinio.

Nel frattempo gli anni 70 sono anni di austerità proclamata dai governi a causa della guerra del Kippur che aveva fatto impennare vertiginosamente i prezzi del petrolio, di nuovi movimenti studenteschi. Il clima per le strade era bello caldo e i giovani fascisti e comunisti per le strade si facevano la guerra a colpi di spranghe, dove il rapporto con le donne era altamente conflittuale, dove il conflitto di classe era sentito in maniera minacciosa dalla borghesia.

Ecco in questo clima e teatro si consuma il massacro del Circeo, ma tutto questo nel film non compare.

Il regista ha lavorato per sottrazione: “Abbiamo eliminato i riferimenti al fascismo e alla droga perché per noi era importante prendere quel racconto e identificarlo in quello del maschio che usava e vedeva la donna come un oggetto.” – asserirà il regista nell’intervista alla presentazione del film. “Abbiamo voluto attualizzare il tema, in questo momento storico, in cui l’idea della sopraffazione del più debole, per affermarsi esiste più che mai. Abbiamo voluto accentrare la nostra attenzione sul concetto di impunità”.

Tuttavia in questo modo il regista ci impedisce di effettuare un’analisi profonda della società dell’epoca, e per reeframing anche di quella attuale. Se certi comportamenti devianti e violenti sono ritornati ad essere agiti anche dagli adolescenti di oggi, bisogna pur trovare un inizio storico? La storia insieme alla Storia dovrebbero costituire punto di partenza di quanti, genitori ed educatori nonché  società civile e Istituzioni,  si prendono cura di giovani adolescenti, almeno fino a che non sono capaci di intendere e di volere e hanno costruito una loro identità e personalità?  Evitare l’analisi  di quegli anni di piombo, che ancora non sono stati metabolizzati nemmeno dalla generazione dei sessantenni  appare più come un il gesto di una gru che mette la testa sotto la sabbia,  ci impedisce di capire se sia stato il troppo progressismo di alcuni e conservatorismo di altri a creare quella miscela esplosiva che culminò nel massacro del Circeo.

Il regista crede che un dibattito si apra per il semplice fatto di aver narrato un fatto di cronaca. Eliminando così ogni  riferimento ideologico e anche qualsiasi riferimento all’uso di sostanze stupefacenti, che pure era di largo consumo tra gli adolescenti in certi ambienti, focalizza la sua attenzione sulle tipologie di famiglie coinvolte, sulla loro disattenzione e cecità nevrotica nei confronti di segnali che pure già esistevano.  Pensa che gli intellettuali attuali facciano come P. P. Pasolini. “In quegli anni il delitto del Circeo generò un dibattito. Lo stesso Pasolini sottolineò che quella violenza non era solo appannaggio della borghesia ma anche delle borgate. Volevamo portare attenzione al tema dell’impunità. Portare quella storia all’oggi e far diventare quella responsabilità di tutti” ha asserito lo stesso Mordini.

“Nascere maschio è una malattia incurabile” è una delle frasi più ad effetto del libro e viene riproposta anche nel film. La frase è pronunciata dallo stesso Albinati che rappresenta la voce narrante.

Non mi meraviglia che poi una parte della critica abbia detto che questo è un film sul sesso, un film che parla di sessualità, se tutto è stato ricondotto intorno alla scena cruenta. Nessuna citazione al film IF di Lindsay Anderson o al film Arancia Meccanica di Kubrick né tantomeno alla letteratura di Robert Musil di Tonio Kroger, né tantomeno a Salò di P. Paolo Pasolini e che, qualcuno che non riesce ancora a fare un’analisi seria e puntuale di quegli anni, dica che in fondo quei ragazzi abbiano avuto nel loro codice genetico il seme del male, mentre invece l’autore del libro Edoardo Albinati in una presentazione del suo libro parla di ‘menzogna originaria’.

Il film ha previsto la limitazione alla visione ai minori di diciotto anni. La Commissione per la classificazione delle opere cinematografiche incaricata dalla Direzione generale Cinema e audiovisivo del Ministero della cultura ha così motivato la sua decisione:

“Il film presenta una narrazione filmica che ha come punto centrale la sostanziale equiparazione  della vittima e del carnefice. In particolare i protagonisti della vicenda, pur partendo da situazioni divrse, finiscono per apparire tutti incapaci di comprendere la situazione in cui sono coinvolti. Questa lettura che appare dalle immagini, assai violente negli ultimi venti minuti, viene preceduta nella prima parte del film da una scena in cui un professore, soffermandosi su un dipinto in cui Cristo viene flagellato, fornisce assieme ai ragazzi, tra i quali gli omicidi del Circeo, un’interpretazione in cui gli stessi Gesù Cristo e i flagellanti vengono sostanzialmente messi sullo stesso piano. Per tutte le ragioni sopracitate la Commissione a maggioranza ritiene che il film non sia adatto ai minori di diciotto anni.”

La decisione al provvedimento ha sollevato notevoli polemiche, anche perché il film interpretato magistralmente da un cast di eccezione, ha comunque messo il dito nella piaga. Sono ormai consueti fatti di cronaca in cui adolescenti che usano la droga GHB meglio denominata come ‘droga dello stupro’ si ritrovano dopo una festa violentate. Ed in effetti questo è il merito che una parte della critica ha voluto attribuire al regista, quello di mettere in guardia le giovani adolescenti da situazioni che potrebbero essere simili a quella del massacro del Circeo.

E’ di ieri la pubblicazione su Repubblica di un appello di Barbara Salambè al Ministro della Cultura Dario Franceschini affinchè “ponga rimedio e mantenga la parola data sulla fine della censura e sulla libertà di espressione degli artisti”. Secondo la Salambè non è giusto censurare un film tratto da una storia vera, e che è stato interpretato da ragazzi che hanno aderito a un progetto difficile e ora vogliono farlo vedere ai giovani. Lo stesso Albinati ribadisce: “Un ragazzo e una ragazza di oggi sono perfettamente capaci di distinguere il bene dal male senza qualcuno che gli nasconda la verità, con la scusa di proteggerli”

Eppure la censura è sempre esistita non solo nei paesi con dittature ma anche nei paesi liberali. Nell’Italia liberale esisteva quasi sempre nei confronti di spettacoli offensivi del buon costume, della decenza , del decoro nazionale, della reputazione e dell’ordine pubblico, delle Istituzioni internazionali e di quelle interne. Saltando il periodo fascista dove la censura era consueta, dovendo l’arte rispondere al pensiero unico del partito fascista, nella nostra Repubblica democratica ha visto la censura anche qualche film di Totò, ad esempio Totò e i Re (1952) di Steno,  oppure Totò e Carolina (1955) di Monicelli, per non parlare di capolavori come Il grido di Michelangelo Antonioni (1957), Senso (1954) di Visconti, oppure tutti quelli di P.P. Pasolini,  e tanti altri. Anche film esteri hanno dovuto aspettare degli anni prima di varcare la frontiera ancora nel 1961 Tu ne tueras point (Non uccidere) di Autant-Lara fu respinto “pur rilevando la commissione che trattasi di opera di alto livello artistico”, una qualità questa, non sufficiente a far tollerare  favore dell’obiezione di coscienza.

I motivi dell’applicazione della limitazione alla visione in Italia sono sempre gli stessi, essendo un paese cattolico e nazionalista siamo ancora impregnati di bigottismo e quindi piuttosto che guardare negli occhi un artista che con la sua opera d’arte ci porta su altre coordinate mentali, preferiamo fare come le gru, nascondere la testa sotto la sabbia.

In tal modo questo film,  che pure è da valorizzare per lo sforzo considerevole che è stato fatto, sia dal regista che dal cast degli attori, non riuscirà a farci capire come mai tra i nostri adolescenti si aggiri di nuovo  uno spettro che, come dice U.  Galimberti,  è Un ospite inquietante.

Monte di Procida, 08/10/2021
Assunta Esposito

 

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