INTERVISTA A GABRIELE MAINETTI il regista del film FREAKS OUT, il film sui supereroi con la classe italiana.
Frizzante entusiasmo dell’eterno giovane che crede davvero nel suo lavoro e nel suo sogno; si presenta così Gabriele Mainetti, classe 1976, nato a Roma, regista e produttore di Freaks out, il film che vuole con il suo progetto ambizioso tracciare una nuova strada per il cinema italiano. Freaks out è il secondo lungometraggio del regista, e segue a cinque anni di distanza il successo di Lo chiamavano Jeeg Robot, ritrovando lo stesso protagonista in Claudio Santamaria.
E’ un film che hai impiegato 5 anni a gestire. Hai lavorato insieme a Guagliarone, è un’idea vostra? Avete dovuto aspettare per l’uscita del film, a causa della pandemia? E’ stato faticoso per te?
“Non è stato facile dirigere e produrre Freaks out, se ci sono voluti 5 anni, ci sono state delle difficoltà. Dopo Lo chiamavano Jeeg Robot, film più semplice e meno costoso, mettere insieme le idee, la sceneggiatura, l’originalità negli effetti speciali, la fotografia, la colonna sonora, i ha impegnato abbastanza. Anche il budget ci ha impegnato per più tempo, dopo che ci stavamo lavorando ci siamo resi conto che era stato budgettato male, farlo in 12 settimane, come inizialmente avevamo pensato, era impossibile, alcune scene non ho potuto girarle, dobbiamo ringraziare RAI cinema che ci ha salvato dandoci anche la sua produzione. Mettici dentro che c’è stata l’interruzione da Covid19…”
Freaks out che Gabriele Mainetti ha presentato al Festival dell’arte cinematografica a Venezia e, che è stato candidato anche all’Oscar del miglior film in lingua inglese, pur non rientrando tra i prescelti, ha già raggiunto 1.600.000 EU d’incassi e lui lo sta promuovendo personalmente recandosi nelle sale cinematografiche di tutta Italia.
“Quando ami un film come me, cioè come un figlio, non puoi fare a meno di presentarlo personalmente”.
Hai rifiutato le offerte delle piattaforme?
“Si, se avessi accettato probabilmente avrei guadagnato di più, almeno il doppio di quello che ho guadagnato con Lo chiamavano Jeeg Robot come produttore ma sentivo che dovevo fare di più, anche Paolo Del Brocca noto produttore cinematografico, ha detto che era il momento per fare di più rispetto ai lavori delle piattaforme E’ che Freaks out è un film spettacolare sul nazismo e come tale va visto sul grande schermo”
E’ vero che ti avevano proposto Venom?
“Si è vero in America, nei grandi Studios Hollywoodiani sceneggiatori, produttori e registi fanno dei casting, proprio come gli attori. Ogni regista, quindi, porta la propria idea che è poi valutata da vari produttori creativi. Io sono stato scelto per un casting e sono arrivato all’ultima selezione insieme all’ultimo regista che poi è quello che è stato scelto.”
Anche Lo chiamavano Jeeg Robot partì piano e poi decollò, questo film potrebbe darti molte soddisfazioni anche con il pubblico estero?
Si, me lo ha detto anche Gian Luca Farinelli, il direttore della Cineteca di Bologna con cui in questi giorni ho presentato il film al Cinema Lumière, mi ha detto: “ la soddisfazione te la darà sicuramente il pubblico estero”. Il fatto è che dobbiamo trovare dei distributori con una visione aperta, perché non è un film facile, è un film coi supereroi e che parla di guerra e nazismo, ma non si racconta con semplicità”.
Anche la colonna sonora, le musiche sono state curate da te?
“Le musiche le ho composte a casa con Braga e Bossi, si voleva riproporre la modalità classica di fare film rifacendosi a Morricone ma senza copiarlo. Abbiamo scelto i temi per ogni personaggio, fondendo gli strumenti poveri con la grande orchestra. Abbiamo fatto un grande studio sui musicisti classici. Anche l’uso del metronomo per il personaggio di Franz che viaggiava nel tempo, lo abbiamo utilizzato grazie agli studi su Hans Zimmer. Mi piace che ci si muova con una tecnica complessa per cui abbiamo trovato un pianista tedesco Key Shumaker, un genio dell’hard rock e metal riarrangiato per pianoforte, per aiutarci con il personaggio di Kreep”
Come hai fatto il cast? Provini o hai lavorato per gli attori?
Avevamo delle fotografie. Le abbiamo usate per scegliere gli attori. Bisognava trovare dei ‘diversi’ che non disturbavano l’occhio del pubblico. Poi, con gli attori bisogna scegliersi entrambi. Avere la libertà di conoscersi nella frustrazione con l’altro, dove alla base del rapporto tra regista e attore ci dev’essere l’alchimia; una modalità che fa parte della mia formazione anglosassone”.
Può cambiare, nel genere, il cinema italiano dopo i tuoi film?
Il film lo si fa in tanti, se ci siamo riusciti noi ci possono riuscire anche gli altri, anzi devono proporre film più belli di Freaks out. Io ci spero. Quello che dimostra Freaks out è che a livello qualitativo possiamo farcela. Ci vuole un genio, come Hitchcock a Hollywood o come De Sica per il neorealismo e poi c’è il cambiamento. Ci vuole anche più cooperazione tra gli artisti, meno competizione negativa, meno invidia.”
Intervista di Assunta Esposito