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Monte di Procida, 58 anni fa l’affondamento della motonave Fiducia nelle acque tra Sicilia e Sardegna

Il 17 dicembre del 1962 la motonave Fiducia di circa 300 tonnellate lasciò il porto di Baia, carica di pozzolana, facendo rotta per il porto di Cagliari.
In quei giorni infuriava una fortissima tempesta di vento sulle coste della Sardegna e della Sicilia.

A bordo del piccolo mercantile montese, di proprietà di Antonio Schiano di Cola, vi erano sette marinai: il comandante Pasquale Schiano di Cola (fratello dell’armatore) di 49 anni, Porfirio Scotto di 52 anni, Gennaro Ambrosino di 25, Daniele Scotto di 46, Salvatore Schiano di Cola di 34, Mario Amitrano di 28 ed il mozzo Isaia Sbriscia di 18 anni, tutti di Monte di Procida.

Le prime difficoltà si presentarono nel pomeriggio di martedì 18 dicembre, ma non vi era pericolo imminente, e dopo la prima richiesta di soccorso la Fiducia fu assistita via radio. All’alba di mercoledì 19 dicembre il piccolo cargo montese era ancora solo sulla sua rotta; a mezzogiorno l’equipaggio si preparò a sostenere una dura lotta col mare, lotta che durò fin quasi alle ore 18:00 quando la nave cominciò ad imbarcare acqua. Fu allora che il comandante Schiano lanciò un nuovo segnale di soccorso.

L’SOS venne intercettato da una nave francese, la Ville de Marseille, ma era troppo lontana per poter intervenire. Un secondo segnale venne raccolto dal centro di soccorso aereo di Vigna di Valle che inviò in mare aperto un idrovolante che riuscì a localizzare la nave montese in pericolo.

La fortuna volle che in quelle acque, a circa 30 miglia di distanza, navigava a tutta forza il transatlantico Vulcania, della Società Italia, proveniente da Gibilterra e diretto a Palermo con mille passeggeri a bordo. Verso le 03:00 del mattino del giorno 20 dicembre 1962 il Vulcania, ricevuta la richiesta di soccorso, si diresse verso la motonave montese.

Il Comandante del transatlantico, Aurelio Assereto, con la possente mole delle sue 24 mila tonnellate si avvicinò molto lentamente verso la Fiducia che, sbandata a sinistra, sussultava riemergendo a fatica. Dopo vari tentativi di affiancamento il caso volle che la testa dell’albero prodiero della Fiducia, spinta da un’ondata, si andò ad infilare in un oblò di una cabina del Vulcania rimanendone incastrato per qualche minuto. Ciò permise un rapido recupero dell’equipaggio montese che si arrampicò velocemente sul Vulcania attraverso le “giapponesi“, reti a maglie molto larghe utilizzate in genere per imbracare i colli, appositamente sistemate sulla fiancata dagli uomini di bordo del transatlantico.

Il comandante della Fiducia Pasquale Schiano di Cola nel momento del suo recupero a bordo del Vulcania

I naufraghi montesi non appena si misero al sicuro si voltarono tutti verso il mare, l’uno accanto all’altro, e con le lacrime agli occhi guardarono la loro piccola imbarcazione mentre si inabissava lentamente sotto lo sguardo incredulo e curioso di numerosi passeggeri ospitati a bordo del Vulcania.

L’equipaggio montese della Fiducia con il comandante Assereto a bordo del Vulcania, subito dopo il recupero

In quel momento a bordo del transatlantico, tutto si fermò, il comandante del Vulcania dall’aletta della plancia, salutò con tre fischi lunghi e mesti la coraggiosa Fiducia che si apprestava a compiere la sua ultima traversata verso il fondo del mare.

Tutti e 7 i marinai montesi furono tratti in salvo ed ospitati a bordo del transatlantico fino alle ore 13:00 di giovedì 20 dicembre 1962, quando il Vulcania, con 16 ore di ritardo, giunse nel porto di Palermo.

Il quadro che l’equipaggio della Fiducia donò alla Chiesa di Maria SS.Assunta

Quando i marinai montesi tornarono a Monte di Procida, per la grazia ricevuta, donarono un quadro alla chiesa di Maria SS. Assunta raffigurante la motonave Fiducia, nel pieno della tempesta, poco prima di affondare e con in alto l’immagine della Madonna Assunta.

Dunque si salvarono tutti, i nostri concittadini montesi, ma in realtà in quella brutta disavventura in mare ci fu anche una vittima. Sulla coperta della Fiducia, inclinata e flagellata dai marosi, scivolava da paratia a paratia, abbaiava e piangeva un pastore tedesco, che purtroppo nessuno poteva più aiutare.

Si chiamava Dock e come un vecchio lupo di mare d’altri tempi seguì la sua nave fin giù negli abissi più profondi.

Riposa in pace e onore a te, povero e sfortunato Dock!

–with <3
— Pasquale Mancino

Tratto da “Genova: Storie di navi e salvataggi” di Carlo Gatti

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