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Una finestra sul mondo: Campi Flegrei, origine e significato della tradizionale commemorazione dei defunti. Di Maria Chiocca

Campi Flegrei, origine e significato della tradizionale commemorazione dei defunti

Il parco archeologico dei Campi Flegrei si presenta come un territorio con confini politici amministrativi, ben delineati, con un enorme patrimonio storico-archeologico diffuso su un area altamente urbanizzata. Non è difficile dunque, abituarsi alle evidenze archeologiche  su tutta la zona.

Di particolare evidenza sono le necropoli, luoghi adibiti alla sepoltura, che in diverse epoche in particolare in quella romana, erano disposte lungo le strade di maggior percorrenza, fuori dal centro abitato.

Le necropoli ci hanno restituito molte testimonianze sugli usi e sui costumi religiosi del mondo antico, che, in altre forme a mio avviso, sono radicati ancora nella cultura  contemporanea.

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In tutte le civiltà, a partire dall’età del ferro, la morte era considerata un passaggio nel mondo ultraterreno, dove il defunto potesse continuare a vivere.

Ne danno testimonianza le tombe a fossa, datate tra il IX e l’VIII sec. a.C, trovate a nord della città di Cuma, (area che sarà adibita a sepolture anche in epoche successive), appartenenti agli Opici, una civiltà preellenica. In una delle sepolture ricostruite ed esposte nelle sale del Museo Archeologico dei Campi Flegrei, sito nel Castello aragonese di Baia, l’idea della vita ultraterrena ci viene data dalla presenza del corredo funebre composto da oggetti di uso quotidiano e monili personali. Foto 1

Così era per i Greci, che giunsero a Cuma nell’VIII sec. aC, fondando Kyme, la polis più antica del mondo occidentale. Essi però apportarono una novità, la incinerazione o cremazione: i defunti erano bruciati e le ceneri venivano deposte in vasi, olle, contenitori vari. Anche queste sepolture erano accompagnate da un importante corredo funerario.

Presso le popolazioni italiche, come i Sanniti, l’idea della vita ultraterrena era associata anche alla rinascita.

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Meravigliosa, è la tomba sannitica, ritrovata lungo via Vecchia Licola, coincidente con l’antico asse viario Cumis Capuam, ricomposta ed esposta nelle sale del citato museo . La tomba dipinta, a camera ipogea, risale alla II metà del IV sec. aC, presenta una’affresco in cui il defunto, che indossa una corona di foglie di melograno, è semi-sdraiato sul kline e si ciba da una mensa sotto alla quale c’è un cane, simbolo di fedeltà; è assistito da un’ancella che gli versa del vino in una coppa, segno dell’importante ruolo pubblico del defunto, mentre, la sua donna, tiene un melograno e gliene porge un altro. Il tutto arricchito dalle sinopie di musici e danzatori disposti sul soffitto a spiovente della tomba, riferimento al rito funebre vissuto sottoforma di festa. Il melograno è simbolo di fertilità  di rinascita.  Foto 2

Anche i romani credevano nella vita dopo la morte e soprattutto pensavano che gli spiriti dei propri defunti, denominati Mani, influenzassero la vita dei vivi, per questo nel mondo romano vi era una particolare attenzione alla commemorazione dei defunti.

Nei Fasti di Ovidio si legge: “Si accontentano di poco i Mani, apprezzano di più la devozione che non i ricchi regali; non c’è avidità tra gli Dei che affollano le rive dei fiumi infernali. Basta una tegola della casa, che sia coperta da una ghirlanda, qualche chicco di grano, una manciata di sale, del pane inzuppato nel vino, qualche violetta.”

La commemorazione dei defunti iniziava appena dopo il funerale. Essa avevo lo scopo di purificare dalla contaminazione della morte i familiari del defunto. Nello stesso giorno del funerale si consumava il primo banchetto funebre chiamato silicernium. Proprio per questo, le tombe erano dotate di ambienti ad uso della famiglia per i riti funebri. Infatti nei sepolcreti è attestata la presenza di letti triclinari  e panche in muratura posti sia  nell’area esterna sia in quella interna.

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Di particolare interesse è il sepolcreto situato a Via Virgilio, in località Fusaro, nel comune di Bacoli. Il complesso tombale, costruito alla fine del I sec. a.C , fu definitivamente completato nel II d.C con una serie di ambienti a livello di strada  ad uso, proprio, di riti funebri, quali feste e banchetti. Nella foto 3. si evidenzia un recinto con panca e semicolonne in laterizio rivestite di intonaco, al centro del recinto vi è la cupola in opera cementizia della camera funeraria ipogea, del tipo a colombario. Questo tipo di strutture funerarie erano utilizzate per le sepolture a cremazione, presenti in tutta l’area flegrea.

Nove giorni dopo i funerali si celebravano i novemdialis, la famiglia ormai purificata, offriva ai Mani una libagione per propiziarsi la loro benevolenza. Con questo rito la famiglia chiudeva i nove giorni di lutto, riallacciando i rapporti con la società che terminava con un secondo banchetto chiamato coena novendialis.

Nel mondo cristiano questo rito è stato sostituito con il trigesimo, messa celebrata dopo tre settimane dalla morte, che chiuderebbe anche i giorni del lutto.

Successive commemorazioni con riti e banchetti presso la tomba seguivano in occasione del dies natalis (Compleanno) del defunto; dei Parentalia, la commemorazione dei defunti, simile alla nostra, che si svolgeva tra il 13 e il 21 febbraio,  nell’ultimo giorno detto dei Feralia, venivano portati doni quali pane, miele, latte, vino ed offerte floreali al sepolcro; dei rosalia, festività legata alla fioritura delle rose, nelle quali i sepolcri erano cosparsi di fiori.

La presenza dell’elemento naturale, cioè l’offerta di fiori e similari, era segno di un’origine del rito riconducibile al mondo agricolo e all’eterna primavera del mondo ultraterreno.

Anche nelle necropoli flegree non mancano riferimenti a mondo agreste come nell’affresco della necropoli, situata nel comune di Monte di Procida in località Cappella, dove in una delle camere ipogee a colombario, si trova l’affresco di una menade danzante, divinità legata al culto di Bacco, dio del vino che rappresenta l’ebbrezza e la gioia di vivere. La necropoli di Cappella, che accoglieva le ceneri dei classari di Miseno, conserva la rara immagine della divinità Iside/Selene, divinità lunare che associa la vita dell’uomo alla ciclicità della mondo naturale e dunque alla rinascita.  In alcuni  riti orientali  si diffuse l’idea della resurrezione dei corpi.

Furono proprio i culti orientali a favorire il radicarsi del cristianesimo che grazie alle strade, vie di comunicazione del mondo romano, si propagò rapidamente anche in Europa.

Per sradicare l’idea pagana contenuta nella commemorazione dei morti, in una comunità ecclesiale ormai radicata, nell’VIII sec d.C la chiesa cattolica istituì la festa di tutti i santi. Papa Gregorio III (731-741) scelse il 1º novembre come data nella quale ricadeva l’anniversario della consacrazione della cappella delle reliquie di tutti  dei santi apostoli e di tutti i santi, martiri e confessori, posta nella chiesa paleocristiana di san Pietro. Così nel 998 l’abate benedettino Odilone di Cluny, con la riforma cluniacense, stabilì che ai vespri del primo novembre subentrasse la commemorazione dei defunti che ebbe come scopo il pregare e il celebrare messa per le anime di tutti fedeli defunti, affinchè potessero espiare i peccati e godere della luce piena di Dio, nell’attesa della resurrezione.

Nel mondo cristiano, i fedeli vanno al cimitero per pregare in ricordo dei propri affetti, portando un omaggio floreale e dei lumi, segni evidenti della fede che si rinnova nell’attesa della luce della resurrezione.

In queste occasioni vengono realizzati dei dolci, ogni parte d’Italia ha una propria tradizione. Gli ingredienti principali sono latte uova zucchero miele frutta secca che ricordano i doni e le libagioni che i nostri antichi antenati pagani portavano ai loro defunti o consumavano nei banchetti funebri.

Nell’area flegrea, in particolare a Bacoli e Monte di Procida nel giorno dei morti, che corrisponderebbe ai Feralia di epoca romana, è tradizione mangiare la zuppa di fave secche, pietanze povere a disposizione di un mondo contadino radicato a tradizioni, che nel tempo hanno perso il loro antico significato ma non la loro memoria.

Articolo di
Maria Chiocca


Tutti i racconti di Una Finestra sul Mondo. A cura di Monica Carannante

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