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Monte di Procida, storia e curiosità: la ricca e controversa eredità del parroco don Cesare Atenaide

Cesare Atenaide nacque a Monte di Procida, in via Pietro Colletta, alle ore 23:15 del 25 febbraio del 1877. Figlio di Eugenio, colono montese e  di Carolina Colandrea, filatrice e donna di casa. Cesare era il più piccolo dei 7 figli concepiti dalla coppia a Monte di Procida; prima di lui erano già nati 4 sorelle e 2 fratelli:

Angela, nata il 15 maggio 1862;
Giovanna Adelaide, nata l’11 ottobre 1864;
Giuseppe, nato il 17 ottobre 1866;
Lucia, nata l’1 marzo 1869;
Crestina, nata il 18 agosto 1871;
Antonio Adelaide, nato il 10 gennaio 1874.

Un particolare che accomunò i 7 fratelli, compreso il piccolo Cesare, è che alla nascita vennero dichiarati tutti con il cognome Esposito Delli Russi. Un evento alquanto curioso che mi ha spinto ad approfondire le ricerche ed a scoprire che suo padre Eugenio, nato con il cognome Atenaide, da bambino era stato adottato da un benestante colono procidano chiamato Michele Esposito Delli Russi che gli aveva dato il suo cognome.

Ma il 26 aprile 1882, quando Cesare aveva appena 8 anni, con una deliberazione della quarta sezione del tribunale civile di Napoli, suo padre Eugenio riuscì a riappropriarsi del proprio cognome nativo e a rettificare tutti gli atti di nascita dei suoi figli, così Cesare Esposito Delli Russi, diventò Cesare Atenaide.

Il cognome Esposito Delli Russi era un cognome abbastanza diffuso nel corso dell’800 sia a Procida che sul Monte ed esistevano diverse famiglie anche con il solo cognome Delli Russi, cioè senza Esposito davanti.

Non sappiamo con certezza come Cesare Atenaide maturò la vocazione per la chiesa, ma sappiamo che lo portò a prendere i voti e per tutti i montesi diventò don Cesare Atenaide.
Fu economo-curato della nostra chiesa di Maria SS. Assunta, dal 4 dicembre 1934 al 21 maggio 1935 e poi ne divenne parroco per circa 5 anni, dal 22 maggio 1935 al 6 marzo 1940.

Al centro don Cesare Atenaide durante una processione dell’Assunta verso la fine del 1930

La maggior parte degli anziani montesi da me interpellati non ha particolari ricordi di don Cesare, tranne un evento specifico che colpì in modo negativo tutta la popolazione montese agli inizi del 1940. La vicenda è legata ad una tragedia in mare che avvenne nella notte del 23 febbraio del 1940.

La bilancella “San Vincenzo” di proprietà dell’armatore montese Giovanni Schiano Lomoriello fu Antonio, lasciò il porto di Formia alle ore 12:00 del 22 febbraio 1940, con un carico di laterizi (mattoni per costruzioni edilizie) in direzione di Bagnoli. A bordo della piccola imbarcazione vi erano 6 uomini di equipaggio, tutti marittimi di Monte di Procida.

La petroliera Laura Corrado costruita a New York nel 1910

Quel giorno imperversava una terribile burrasca e la San Vincenzo, ormai al largo, non riusciva proprio a navigare. Il caso volle che in quella zona di mare facesse rotta una petroliera dell’epoca, la Laura Corrado che vedendo le difficoltà della piccola imbarcazione montese la prese a rimorchio. Il comandante della petroliera, di circa 8000 tonnellate e 150m lunga, invitò i marinai montesi a salire a bordo della sua nave, ma a quanto pare i nostri concittadini non vollero abbandonare la San Vincenzo e si accontentarono soltanto di essere trainati.

Verso le 5.30 del mattino seguente, in prossimità delle acque dell’isola di Ischia, la vedetta di poppa della petroliera notò che la San Vincenzo sbandava a destra e poco dopo si inabissava in seguito ad una falla apertasi nel vecchio scafo della bilancella montese per probabile spostamento del carico. Si suppose che i marinai del San Vincenzo, stanchi per la lunga lotta sostenuta contro gli eventi avversi, furono colti nel sonno dal naufragio.

Vane furono tutte le ricerche; dei 6 giovani e giovanissimi marinai montesi non vi era più traccia. A bordo alla San Vincenzo persero la vita:

Scotto d’Antuono Enrico, Capobarca, 30 anni;
Mancino Gennaro, marinaio, 25 anni;
Lubrano Lavadera Michele, marinaio, 23 anni;
Pugliese Biagio, mozzo, 18 anni;
Esposito Salvatore, mozzo, 18 anni;
Romeo Michele, mozzo, 15 anni.

Solo qualche giorno più tardi, nello specchio di mare di Mergellina venne ritrovato il corpo senza vita del marinaio Lubrano Lavadera Michele (zì Calòne); nessuno degli altri membri dell’equipaggio venne mai più ritrovato.

Il dolore per quelle giovani vite spezzate fu davvero terribile e profondamente avvertito in tutto il paese e quando si celebrò il funerale dell’unico marinaio ritrovato, la chiesa di San Antonio a Casevecchie, chiesa di appartenenza di Michele Lubrano Lavadera, era stracolma di montesi. Alla celebrazione della messa parteciparono tutti i preti di Monte di Procida, tra i quali anche don Cesare Atenaide che allora era il parroco della chiesa dell’Assunta.

Alla fine della celebrazione, soprattutto i familiari degli altri 5 marinai defunti, non avendo neanche un corpo da seppellire e da poter piangere, chiesero ai preti di non andare direttamente al cimitero per via Scialoja, ma di procedere in corteo per il Cercone e di entrare nella chiesa madre del paese per una veloce benedizione della Madonna Assunta.

I preti non vollero acconsentire a questa richiesta e soprattutto don Cesare Atenaide, in qualità di parroco della chiesa dell’Assunta, si oppose rigidamente alla supplica dei montesi. Ne conseguì una lite verbale che portò i preti persino a rifiutarsi di accompagnare al cimitero lo sventurato marinaio defunto.
Così il corteo funebre si mosse fino a via Torrione senza la presenza di nessun sacerdote al seguito.

Fu tale l’amarezza, la rabbia e la delusione dei montesi che quando qualche giorno dopo, ai primi di marzo, i preti, compreso don Cesare, iniziarono la rituale benedizione pre-pasquale delle case, molte famiglie si rifiutarono di farli entrare nelle loro abitazioni.

E la faccenda assunse un significato ancora più particolare quando, qualche giorno dopo, precisamente il 6 marzo del 1940, don Cesare Atenaide improvvisamente morì, nella sua abitazione al Corso Garibaldi n.40.
Quello stesso giorno il podestà del nostro comune Agostino Schiano di Cola inoltrava alla prefettura di Napoli la richiesta di un sussidio per i congiunti dei 6 poveri marinai montesi periti in mare. Richiesta poi accolta dal prefetto il 30 aprile del 1940.

Don Cesare morì all’età di 63 anni e lasciò un ingente patrimonio personale, costituito da contante, fondi, vigneti e case coloniche, valutato circa 10 milioni di lire. Giusto per avere un’idea, 10 milioni di lire del 1940 corrispondono a circa 7,5 milioni di euro di oggi (2020).

Dopo la morte del nostro parroco non venne ritrovato nessun testamento, probabilmente proprio per l’evento improvviso ed inatteso. E così, a reclamare la loro parte di eredità furono tutti i suoi familiari più diretti che erano circa 30 persone, tra nipoti e pronipoti. Ma a tutti questi si oppose il nipote Salvatore Schiano Lomoriello, figlio della sorella maggiore Angela, il quale, avendo trascorso tutta la sua giovinezza accanto al sacerdote circondandolo di ogni cura e dandogli ogni sorta di assistenza, sosteneva che lo zio, prima di morire, aveva manifestato la volontà di lasciare lui solo erede universale.

Una serie di cause venivano subito iniziate, ma furono rinviate per l’entrata dell’Italia nel secondo conflitto mondiale in data 10 Giugno 1940. Si dovette attendere la fine della guerra e precisamente il 1946, quando la magistratura ritenne non valida la scrittura privata eseguita e sentenziò la suddivisione dei beni fra tutti i numerosi eredi di don Cesare.

Ma mentre erano ancora in corso le pratiche per l’assegnazione delle quote, un vecchio canonico montese dichiarò che prima di chiudere gli occhi, don Cesare Atenaide, fece un testamento da rendersi pubblico soltanto dieci anni dopo la sua morte e quindi lasciò intendere di essere depositario delle ultime volontà del parroco, oramai deceduto nove anni prima.

Il pandemonio sollevato dai familiari di don Cesare a Monte di Procida, alla vigilia della pubblicazione del documento, il 25 novembre del 1949, attirò l’attenzione e la curiosità di tutti i montesi ed ancora oggi a distanza di 71 anni c’è qualcuno che lo ricorda.

In pratica, quel giorno, tutti gli aspiranti eredi, temendo di essere defraudati su quanto loro competeva, vollero precorrere gli eventi impossessandosi preventivamente di quanto trovarono nell’abitazione del parroco defunto. Si racconta che i familiari smantellarono la casa del prelato asportandone i mobili, i soprammobili, gli oggetti di valore e persino gli infissi.
La gazzarra richiamò sul posto l’intero paese e fu necessario l’intervento dei carabinieri per riportare l’ordine.

Non sappiamo cosa contenesse il testamento custodito dal vecchio canonico ma, secondo i ricordi di alcuni anziani montesi, sembra che l’eredità venne poi suddivisa tra tutti i legittimi eredi.

Una ricca e controversa eredità quella di don Cesare Atenaide, che chiaramente faceva gola a tanti e finì per riempire le pagine di cronaca di molti quotidiani locali e nazionali.

— Pasquale Mancino

* Per la ricostruzione degli eventi del 1940 si ringrazia il montese d’america Vincenzo Fevola detto Sciacquariè

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