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Una finestra sul mondo: “L’ironia della morte” di Arturo Delogu

Ironia: “Alterazione spesso paradossale, allo scopo di sottolineare la realtà di un fatto mediante l’apparente dissimulazione della sua vera natura o entità.”

Tranquilli non è una lezione di italiano, questa è la definizione di ironia che ho copiato da internet. Poi c’è l’ironia Napoletana, quella dissacrante, quella amaramente divertente che si diverte anche sulla propria pelle.

In questo mondo social vediamo spesso delle vignette, chiamate “Meme” , dove si ironizza su ogni cosa e converrete con me, quelle più simpatiche, più divertenti, ma anche più amare, appunto, sono quelle Napoletane.

Io lavoro al centro di Napoli ed in questi giorni difficili, dove chi si sente minacciato dai provvedimenti restrittivi presi dal governo, atti all’arginare la diffusione del covid, è sceso in piazza a manifestare. Non stò qui a prendere posizioni, voglio sottolineare solo che anche se pressato, anche se minacciato, anche se perde la speranza, il popolo Napoletano non smette mai di
far sorridere e lo fa sempre in modo compito, mai volgare, sempre dissacrante e sempre amaramente veritiero. Scherzare con la morte, poi, è sempre stata una prerogativa dei Napoletani.

Esorcizzare la paura della vita che finisce, è costume nella tradizione napoletana da sempre. Il culto dei morti nel Napoletano è intrinseco ed ha radici millenarie. Il Napoletano non ha paura della
morte, anzi, la coccola, se la tiene buona. A Napoli c’è la tradizione delle anime Pezzentelle, durante la peste del 600, il colera dell’800 (no, non siamo nuovi alle pandemie), le anime pezzentelle sopperivano alla mancanza del rapporto diretto con i propri defunti. Si “adottavano” (e ancora lo fanno) morti di altri, si curavano le “capuzzelle”, teschi anonimi a cui si chiedono grazie e
protezioni in cambio di fiori ed orazioni.

La bara, il crocefisso ed il fantasma della foto, alterano il problema, lo estremizzano, ma fanno pensare e molto. Ed in un certo qual modo il problema, lo esorcizzano, lo tengono a bada. Il momento è triste, ma il Napoletano non si è fatto mai vincere dai momenti tristi. Anzi, li ha sempre manipolati e fatti suoi, cercando di ottenere il meglio anche da
quelli. Molti questa cosa la chiamano resilienza, io preferisco chiamarla “Arte ‘e s’arrangià”.

Ho scritto sempre Napoletano con la “N” maiuscola, perché per me non è un aggettivo, è un titolo, un nome, un cognome, un casato ed anche chi non è nato a Napoli, ma nelle vicinanze, quando alla domanda: “Sei di Napoli”. Risponde “Si… della provincia”.

Foto e articolo di
Arturo Delogu


Tutti i racconti di Una Finestra sul Mondo. A cura di Monica Carannante

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