Raccontatemi la bellezza di una giornata di sole.
Io abito a Padova e qua ci sta la nebbia.
Ma voi tenete il sole. E allora raccontatemelo.
Come?
Avete visto “Sine Sole Sileo” del Maestro Antonio Colandrea?
È uno spettacolo che fa parte della rassegna culturale “Arte e Musica nella Terra del Mito”, andato in scena con la collaborazione dell’Amministrazione attuale, nella Marina di Acquamorta il 1 Agosto scorso, un inno al sole e alle sfaccettature del calore delle terre del sud, sempre assolate e nevrotiche, piene di evocazioni popolari e di storie e di emozioni dense.Lo spettacolo è stato un abbraccio al sole, il racconto del suo rumore.
Antonio Colandrea le ha messe in scena così come se le ricordava da bambino. Collocando sul palco i suoni antichi, il sudore dei danzatori, le tammorre di Luca Valenziano che è capace di soffiare dentro a un tubo della corrente o percuotere i gusci delle cozze e costruire la musica. E la voce acuta dell’attrice Clotilde Del Vaglio, quella profonda del tenore Raimondo Ponticelli e quella soave del cantautore Osvaldo Di Dio.
Non l’avete visto?
Beh nemmeno io. Perché abito a Padova.
E però lui, il Maestro, lo conosco benissimo.
E quindi, poiché mi dicono che è stato un vero successo e che presto sarà replicato, vi faccio un regalo.
Me lo immagino da lontano e ve lo faccio immaginare.
Siete pronti?
Ecco.
Uno si può ubriacare di sole?
Secondo me sì.
Quando eravamo piccoli, subito dopo mangiato, mia mamma ci confinava mio fratello e me dentro alla cameretta dove eravamo costretti a dormire uno a capo e uno ai piedi del letto. Non potevamo starcene fuori al balcone e tenevamo il divieto assoluto di uscire di casa perché c’era la calandrella, tutto era fermo, il mare era immobile e si sentiva sopra i nostri tetti soltanto il suono monotono e aspro delle cicale.
Il sole, se solo mettevamo fuori la testa, ci cuoceva la bocca, ce la accartocciava come un borsellino, così dicevano tutti quanti e soprattutto le femmine più vecchie.
Il sole arruscava le labbra come bucce di roventi castagne.
La calandrella io me la immaginavo una vecchia antipatica amica di mia mamma, che veniva sempre alla stessa ora, verso le due e mezza del pomeriggio, a impedirci di stare all’aria aperta e ci costringeva a starcene prigionieri in camera nostra.
Mia mamma nel frattempo stava facendo i servizi e la vedevo nel riflesso dello specchio con le spalle che brillavano di sudore mentre passava lo straccio sul pavimento.
In tutta evidenza aveva chiesto aiuto al sole, per tenerci buoni e pulire la casa senza domandare nessuno aiuto. Faceva tutto da sola.
Come tutte le donne.
Il Maestro è stato capace di riprodurre tutto questo in una danza. L’ha chiamata la “danza dei borsellini”.
Ad Acquamorta le splendide ballerine di Emma Cianchi hanno piroettato sul molo ruvido.
Hanno rappresentato gesti rapidi, i corpi che si scrollano, il suono delle tammorre che fanno increspare il mare sotto gli spicchi di luce della luna, le braccia che si negano, le dita fluttuano, le femmine volano, si abbracciano senza toccarsi, camminano insieme. Si lasciano afferrare?
Il Maestro ha messo in scena le donne dolci e le donne salate.
Le donne di zucchero e quelle piene di acqua di mare.
Le donne in camicia da notte di lino. Le spalle scoperte, la pelle di latte.
Le donne che resistono. Chiedono aiuto senza domandarlo. Come lo chiedeva mia mamma, alla calandrella, per mettere tutto a posto e consentirci di vivere in una casa sempre pulita, sempre profumata.
Le donne che sbandano ma non sbagliano.
Perché il sole le guarda e le protegge.
Il sole al sud è un amico vero. Scandisce le giornate e il tempo della vita. Misura la gioventù e la vecchiaia.
Tutti quanti, donne e uomini e vecchi e piccoli ne osservano il profilo dalla finestra e lo aspettano, perché gli occhi non ne sono mai abbastanza sazi.
Il sole sta dappertutto.
Il sole sta sulla fronte degli amanti.
Il sole si costruisce addosso l’ombra e la ama.
Il sole è stupore e tremore.
Il sole è tramonto.
Il sole si contiene la notte.
Secondo me noi invecchiamo di notte, all’oscuro del sole, quando la sua sagoma sta dietro l’angolo, invecchiamo dentro le nostre ossessioni, i tormenti, i lividi dell’ipocondria.
Ma poi il sole ritorna, al mattino, cavalca il tempo e lo spazio e spegne le nostre malinconie.
E nella macchia di giallo che domina il cielo e ne disegna i confini, due pupille candide si abbracciano, si impastano dentro il nucleo rovente fino ad amalgamarsi.
Sono fratello e sorella.
Sono Fratello Sole e Sorella Luna.
A Monte di Procida, nello specifico, sono Eleonora e Francesco Scotto di Perta, ribelli capelli castani e iridi dorate, talenti impressionanti per la loro bellezza.
Questo è quello che mi sono immaginata in questo spettacolo, che alla prossima volta vi invito a guardare, pure per me.
Non lasciatevi afferrare dalla calandrella, oppure sì.
Fatevi riscaldare. Perché calandrella questo significa.
Ma proteggetevi la bocca. Non ve la fate arrognare come una buccia cotta.
Pure io, pure qua, guardo la calandrella. Mi è rimasto in testa il divieto di mia mamma e la sua fatica di fare i servizi senza chiedermi nessuno aiuto.
Da lontano, nel cono d’ombra delle foglie e delle chiome degli alberi, il sole si vede meglio, e le emozioni fanno eco dentro alle orecchie.
E ti chiedi qual è la più bella cosa che teniamo in questo paese, nel posto dove viviamo.
E secondo me è il sole, il sole che ci cura, ci arrusca le labbra, ci sbatte sulla fronte e che ci fa diventare tutte belle, tutte rose, rose di maggio, imbevute di luce, controvento, felici.(Per Raffaella. Per Lucia. Le stelle più luminose.)
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