Una finestra sul mondo: La frontiera dei Campi Flegrei.
Nonostante non sia cittadino flegreo la mia attività di guida turistica mi ha permesso di dialogare spesso con le realtà del territorio flegreo che col tempo ho imparato ad amare e a sentire come parte della mia vita, ovviamente il lockdown ha interrotto la mia frequentazione dell’Area eppure per una strana congiuntura degli eventi non ho passato il periodo di quarantena presso la mia casa sui Camaldoli a Marano di Napoli perché mi sono ritrovato domiciliato presso la casa di mio fratello a Via S. Nullo, verso Licola, nel territorio di Giugliano in Campania. Via S. Nullo si snoda quasi sul ciglio del Monte S. Severino, un costone tufaceo che fa da confine alla Caldera dei Campi Flegrei rendendo la strada una sorta di frontiera settentrionale fra la costa dei vulcani e il litorale domizio.
Devo ammettere che durante i primi giorni del lockdown mi sentivo male, abituato per lavoro a percorre anche molti chilometri al giorno fra Napoli, Pompei o Positano non tolleravo l’idea di restare fermo fra quattro mura, come è successo a tante altre persone, però devo ammettere che il paesaggio che vedevo dal terrazzo di casa mi ha fatto compagnia e mi ha “educato” a sopportare l’attesa e mi ha spinto ad incuriosirmi sulla storia del luogo in cui mi trovavo.
Riuscivo a vedere il Monte Epomeo di Ischia, la sommità dell’Acropoli di Cuma, il Monte S. Angelo e il “Castagnaro” del complesso del Gauro e anche Monterusciello, mentre sull’estrema visuale est riuscivo a scorgere la collina dei Camaldoli.
L’acropoli di Cuma sovrasta di poco la selva di tetti del Country Park, una zona residenziale nata per alloggiare le famiglie dei militari delle basi NATO e U.S.A sparse per il territorio, ed è stato confortante pensare che il Tempio di Apollo era lì a vista per ricordarmi le tante scolaresche portate in gita durante tempi più favorevoli, mentre la vetta dell’Epomeo era chiaramente visibile e avendola “a portata di mano” per due mesi ho appurato come vero quello che ho sentito spesso dai marinai di Sorrento, ovvero che dalla forma e dalla densità delle nubi che si accumulano sulla cima del monte è possibile prevedere i cambiamenti dei venti o l’arrivo delle precipitazioni e ho indovinato le previsioni un paio di volte.
Capitolo a sé è stato capirci qualcosa sull’etimologia della zona, infatti l’origine del nome della strada principale, via S. Nullo, ha destato qualche perplessità vista l’assenza di una chiesa così nominata: nei documenti del comune di Pozzuoli degli ultimi cento anni si fa riferimento ad una via, pertinente al comune di Giugliano, intitolata a Salvatore Nullo, ma nulla (appunto) sappiamo di questa figura; alcuni studiosi locali fanno risalire il nome della via ad una testimonianza rintracciata in un documento del XVI secolo che indica la presenza di una cappella dedicata a S. Nullo (santo quasi sconosciuto e venerato in pochissime altre località del Meridione) sita presso una taverna a sud-ovest del Casale di Giugliano mentre altri risalgono ancora più addietro ed arrivano ad interpretare alcuni documenti medievali che utilizzano il termine giuridico “Jubenullo” per indicare un territorio a sud-ovest di Giugliano su cui non gravavo diritti feudali o canonici, era, appunto, un territorio di “nessuno” dal punto di vista giuridico e forse col tempo la parola medievale si è trasformata (corrotta) in “Santonullo” fino a diventare “S. Nullo”. Più semplice è stato ritornare sull’origine del nome “Licola” dovuto alla presenza di alcuni uccelli acquatici chiamati in latino “follicolas” (le nostre folaghe) che vivevano presso un lago costiero, teatro di tante battute di caccia dei Borbone, prosciugato a fine XIX secolo durante alcuni interventi di bonifica e anche in questo caso la tradizione orale ha storpiato il nome originario nel toponimo che conosciamo, come accennato oggi il lago non esiste più ma vivendo in zona ho notato che l’acqua è ancora un elemento importante per il paesaggio visto che la zona di Licola è un naturale luogo di concentrazione di acque piovane e la presenza di tante libellule accompagnate dai canti notturni di rane e rospi mi hanno ricordato di quando c’era il lago.
Altra presenza notevole della zona sono le imponenti case coloniche, le masserie, che spesso appaiono divorate dall’edera fra i campi coltivati a frutteti. Un’interessante masseria l’ho “scoperta” su via della Grotta dell’Olmo, una strada interna che collega le due vie principali di S. Nullo e della Ripuaria, quando dovetti spostarmi per una necessità sanitaria e un’altra importante masseria si trova sull’estremità orientale di Via S. Nullo, in un luogo pertinente al territorio di Villaricca non lontano dalla cosiddetta Rotonda di Maradona, ma la realtà più notevole è sicuramente il complesso della Torre di San Severino, oggi residenza storica usata per gli eventi sita all’estremità occidentale di via S. Nullo. Ancora oggi la Masseria conserva la Torre difensiva che è la parte più antica del complesso risalente almeno al XII secolo, quando, da alcuni documenti, sappiamo dell’esistenza di una “grancia”, una masseria fortificata frequentata da lavoratori sia laici che monaci, appartenente al monastero benedettino dei Santi Severino e Sossio di Napoli. La grancia possedeva magazzini, alloggi e anche una chiesetta e sopravvivrà fino al 1799, anno dopo il quale la struttura diventerà una residenza privata ambita dalle più influenti famiglie di Giugliano.
Ciò che rende il complesso speciale è la sua connessione con il “misterioso” santuario antico di Hamae, un complesso religioso dove tutti gli antichi Campani si riunivano per celebrare i culti dedicati agli dei degli Inferi. Uno studioso tedesco, Beloch, colloca il santuario nei pressi della Torre perché secondo lo storico antico Livio la struttura sacra sorgeva su un’altura a tre miglia da Cuma verso l’Ager Campanus (il territorio della ricca e potente Capua) e questa descrizione collimerebbe egregiamente con il sito della ex-grancia, eppure non vi sono prove archeologiche che possano corroborare questa testi, va detto che in anni più recenti sono state rinvenute alcune epigrafi sul territorio ma nessuna pare menzionare chiaramente Hamae e anche gli scavi archeologici condotti dal Gruppo Archeologico Napoletano proprio a Terre San Severino hanno portato alla luce i resti di ville e mausolei romani ma non prove dell’esistenza di un’area sacra, per quanto gli esperti non escludano che sotto le vestigia romane possa esserci qualche attestazione pertinente al santuario citato da Livio. Di Hamae si conosce poco anche dei culti, i quali erano probabilmente di natura Ctonia, cioè legati al mondo delle forze degli Inferi e alcuni autori non escludono che questi riti possano essere connessi anche con la bellicosa natura dei Campani, la popolazione autoctona, spesso dedita al mercenariato, che dalla fine del V secolo avanti cristo fino alla conquista romana fu la potenza egemone del territorio tanto da lasciare il nome che usiamo ancora oggi e forse una sopravvivenza di questi culti legati all’attività bellica dei Campani si trova nelle tante leggende e racconti di Janare e apparizioni soprannaturali varie che i contadini della zona si tramandano da generazioni.
Questo è sicuramente più difficile da dimostrare ed è una mera suggestione, però è certamente strano passare il periodo di quarantena in un luogo così ricco di memorie tanto strane e misteriose adatte a fare da frontiera al variegato mondo dei Campi Flegrei.
Articolo e foto di Pasquale Liccardo
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