Il primo B&b della storia, o di cui io sia a conoscenza è stato creato dal Conte Giusso nell’omonimo Castello di Vico Equense. Già possedeva diverse altre proprietà, tra cui Villa Astapiana in zona collinare, ancora di proprietà della famiglia. Mosso da spiccata vena imprenditoriale, il Conte, decise di fittare ad avventori rinomati alcuni alloggi. Era e lo è tutt’ora un luogo di ristoro dagli affanni e per tale motivo amato dai viaggiatori e dal Conte stesso. In realtà il Castello non era proprio un castello, bensì una grande magione che includeva una piccola chiesetta, forse una delle più antiche del borgo: l’ Ave stella Maris.
Affrescata con i simboli degli evangelisti di pieno gusto ottocentesco. Le sale che percorro per tornare a casa sono in sequenza: quella ‘dei Ventagli’ , decorata su ogni porta d’accesso da quattro enormi cesti ricolmi di prodotti stagionali, allegoria delle quattro stagioni. Segue la sala ‘dei Giochi’ con le vedute delle proprietà terriere dei Giusso, quindi: i camaldoli, il bosco del faito, la spiaggia di Seiano a firma di Asturi.
Mi porto nella sala detta ‘delle Armi’. Il soffitto è decorato da una finta balaustra aperta sul cielo, retaggio dei trompe l’oeil settecenteschi. Tutt’intorno si alternano simboli astrologici e astronomici. In questa sala erano conservate alcune antiche lance, da cui il nome. Imbocco il sentiero acciottolato profumato di lavanda, le scale ripide al di sotto del ponte levatoio che conducono alle cellette. Siamo nella zona di più antica costruzione, quella fortificata, realizzata intorno alla metà del Duecento. Si tratta dell’antico avamposto con annesso sistema di cisterne sottostanti, secondo uno schema già in uso per i donjon medievali. Si narra che qui la giovane Giovanna la Pazza, l’antica proprietaria della fortezza, eliminasse gli amanti non più graditi facendoli precipitare attraverso una botola direttamente a mare. Oggi l’avamposto è una bellissima terrazza panoramica a picco sul mare e le sottostanti cisterne furono trasformate in cellette dai Gesuiti quando subentrano alla famiglia Giusso. Una di queste cellette è casa. Inserisco la chiave. Apro la porta.
Spalanco il balcone. Sono investita potentemente dal Libeccio. Le foglie accumulate entrano prepotenti e si sparpagliano sul pavimento.
Prendo il mio tempo. Erano anni che non sedevo a quella sedia. Plastica bianca, tavolino ruvido di sole, ceneriera brandizzata Merit, cerchi oro di sigarette spente. Il binocolo Zenith ZCF, l’ultimo modello degli anni ’70.
Il sole è ancora tiepido, preludio di un pomeriggio afoso e caldissimo. Un piccolo balconcino a strapiombo sul mare della memoria. Lo scoglio della Margherita ancora non è lambito dal sole e nella antistante spiaggia, il bagnino affaccendato prepara i lettini per i quotidiani avventori. Il vento salmastro profumato dei fiori. In lontananza: pescatori improvvisati dondolati dal mare, voci soffuse.
Blu cielo e terra: Ischia, punta Posillipo, Mergellina, Rovigliano, Scrajo. Dall’altro lato, la torretta di ‘Angelo’ , le merlature della corte, l’azzurro della piscina, il boschetto con la fontana del Conte e il Belvedere che domina i casali di Vico Equense.
Voci assenti nitide: “Fiorenza, Catello ha preparato la barca, prendi la mollica di pane dal frigorifero che andiamo a pesca”. Il piccolo gozzo sorrentino azzurro e rosso ci attendeva puntualissimo al pontile, sotto il balconcino.
L’esca della nonna consisteva in mollica di pane e parmigiano, ricordo che i cefali costieri ne andavano ghiotti. “Se deve essere il loro ultimo pasto, che mangino bene!”. Ad onor del vero non era mai l’ultimo, piuttosto i cefalotti facevano colazione insieme a me… Alle volte ci si recava alle palme del Bikini, lo stabilimento balneare che precede lo Scrajo, per cavalcare le onde lunghe. “Tagliale con la prua e non prenderle laterali, sono onde lunghe! “. L’attracco era a remi. La nonna ci attendeva per l’evento prandiale di fine estate. Impiegava giorni per cucinare il sugo Genovese. I compagni di sempre erano gli invitati. Noi bambini ci accomodavamo sulla panca di legno, sinuosa e lucidissima, progettata dal nonno.
Era il momento di festa intimo, collettivo, silenzioso e atteso della mia infanzia vissuta nel Castello Giusso di Vico Equense.
Articolo e foto di Fiorenza Grasso
Tutti i racconti di Una Finestra sul Mondo. A cura di Monica Carannante
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