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Repubblica celebra la Falanghina

Arrivato dalla Grecia, già amato dagli antichi romani che lo consideravano vino da invecchiamento, ha trovato in Campania la sua regione d’elezione.

Dieci è il numero perfetto? Di sicuro si, se si parla della temperatura di servizio della Falanghina, il vino che come pochi altri elementi sa unire le due anime della regione: quella rurale e quella marinara, la Campania dell’entroterra, dei prodotti agricoli, dei bufali, come il versante costiero coi suoi prodotti ittici, gli agrumi, l’olio extravergine. E, coi suoi profumi delicati, si abbina al pesce grigliato o fritto e ai crostacei, alle paste con frutti di mare e sughi di pomodoro e ingredienti tipici come la mozzarella.

Vino che parla la lingua locale, dunque, fin da quando arrivò oltre due millenni fa dalla Grecia.

Dagli Appennini alla costa, la falanghina ha saputo adattarsi alle diverse  caratteristiche dei territori. Per esempio nell’area dei Campi Flegrei, in provincia di Napoli, le vigne affacciate sul Golfo di Napoli, sono inserite come stupende tessere di un mosaico nella cornice tufacea delle scogliere di Monte di Procida e si estendono fino alla Solfatara di Pozzuoli. Nell’interno, invece, le colline sono coperte da una fitta vegetazione e i vigneti si alternano tra il “saliscendi” di antichi crateri spenti. Il vino che nasce in questi luoghi eredita dal suolo – ricco di tufi, ceneri e lapilli – un profumo e un gusto particolarissimo, di note fresche, minerali e balsamiche, con aromi, a richiamare nettamente la mela annurca e sentori di spezie.

Qui l’articolo completo su Repubblica

 

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