Quella che vi racconto oggi è una storia vera; una grande storia d’amore che forse pochi ricordano, ma all’epoca dei fatti venne pubblicata sui principali quotidiani locali e nazionali e commosse l’Italia intera.
C’era una volta Onofrio Esposito, un giovane ed intraprendente montese della contrada “Chiesa” che, nel 1888, all’età di 15 anni si imbarcò, per la prima volta, su un veliero in qualità di mozzo.
Figlio del pescatore Stefano e della filatrice Anna Illiano, Onofrio trascorse tutta la sua adolescenza e giovinezza in mare, a bordo di varie imbarcazioni, diventando un abilissimo marinaio. Egli era solito mettere da parte tutto ciò che riusciva a guadagnare.
Dopo una decina di anni di duro lavoro e sacrifici sull’acqua salata, investì tutti i suoi risparmi nell’acquisto di un piccolo bastimento tutto per sé e ne divenne il capitano e l’armatore.
Con quella barca il capitano Onofrio girò i mari del mondo per vari decenni, trasportando merci per conto terzi ed a volte commerciando anche in proprio. Si narra che avesse un carattere alquanto burbero con gli uomini di bordo, ma in fondo era un sentimentale ed il suo equipaggio ne era ben consapevole e gli perdonava tutte le sue intemperanze, anche perché il capitano sapeva essere sempre molto generoso nei loro confronti.
Verso la fine degli anni ’30, in un porto estero, un cucciolo di cane gli si avvicinò ai piedi. Dapprima infastidito, ma subito dopo intenerito, il capitano prese in braccio quel buffo ammasso di peli scodinzolante e dalla strada fredda e sporca lo portò al caldo della sua cabina, nutrendolo e curandolo proprio come un figlio.
Trascorsero i mesi e quel cucciolo, un meticcio di pastore tedesco, divenne un bel cagnolone amato da tutti a bordo e sempre pronto ad offrire i suoi servizi a guardia e protezione dell’imbarcazione e degli uomini dell’equipaggio.
Il capitano non gli aveva dato un nome vero e proprio, lo chiamava semplicemente “Uagliò” e tutti a bordo così ripetevano.
Per il capitano Esposito, Uagliò diventò subito il suo amico più fidato e lo portava sempre con sé, in mare ed in terra, ed il cane era ben contento di scorazzargli attorno.
Una sera d’inverno, in un porto della costa meridionale francese, Onofrio ed il suo cane vennero attaccati da alcuni cani randagi e Uagliò per difendere il suo padrone si immolò da solo contro quelle bestie molto più grandi e feroci di lui. Nel litigio ebbe la peggio, fu anche azzannato ad un orecchio e ne perse un pezzo.
Quando Uagliò, ferito e stremato, ritornò a bordo, il capitano realizzò di aver trovato qualcosa in più di un semplice animale da compagnia: un vero e proprio amico pronto a sacrificare la vita per lui e lo curò con amore e gratitudine. Volle dargli anche un nome più specifico; da quel momento iniziò a chiamarlo “Meza Recchia” cioè mezzo orecchio.
Durante gli anni della seconda guerra mondiale, il vecchio lupo di mare Onofrio Esposito ormai ultra sessantenne, si ritirò dai mari per ritornare a vivere stabilmente sulla terraferma nella sua casa a Monte di Procida e si portò dietro anche Meza Recchia.
Qui il capitano Esposito, da tutti conosciuto come “Nufrié“, trascorreva molte ore seduto su una sdraio nel giardino di casa, intento a fumare la sua pipa con il fido Meza Recchia sempre accucciato ai suoi piedi.
L’ormai vecchio cucciolone era felicissimo quando Onofrio lo portava in giro per il paese a far spese. Quel tenero e simpatico cagnolone, dal nome spiritoso, attirava sempre l’attenzione dei bambini dell’epoca i quali si fermavano a giocare con lui ed a volte, approfittando della grande bontà del cane, gli tiravano la coda fino a fargli male.
A Meza Recchia piaceva giocare con quei bambini, ma quando non ne poteva più delle loro provocazioni tornava a rifugiarsi tra le gambe del suo padrone che lo accoglieva sempre con una tenera carezza.
La casa del capitano, situata in zona Pedecone, era sempre aperta a tutti e spesso i bambini si fermavano a chiacchierare con il vecchio capitano che li intratteneva raccontando le sue grandi avventure, insieme a Meza Recchia, in giro per i mari del mondo.
E furono proprio i bambini, la mattina dell’11 novembre 1954, quando, trovando la porta di casa chiusa ed udendo l’abbiare continuo del cane, corsero a dare l’allarme ai parenti.
L’anziano capitano era passato dal sonno alla morte senza neanche accorgersene. Il primo a rendersi conto dell’accaduto era stato proprio Meza Recchia che, per attirare l’attenzione, abbaiava con tutte le sue forze, come mai aveva fatto in vita sua.
Quando i parenti sfondarono la porta di casa, trovarono il vecchio capitano sdraiato sul lettino, privo di vita ma con un’espressione in viso di grande serenità ed il cane accanto a lui disperato e straziato.
Durante la veglia funebre, Meza Recchia non si mosse mai dai piedi del letto di Onofrio; ogni tanto alzava gli occhi verso il padrone e lo guardava attentamente per alcuni secondi nella speranza di scorgere qualche segno di vita, ma poi, rassegnato, rimetteva il muso a terra continuando a soffrire in silenzio mentre un continuo viavai di persone passava a portare l’ultimo saluto al buon vecchio capitano Nufrié.
Al funerale parteciparono in tantissimi; c’erano tutti i marittimi del paese ed altri arrivarono da Procida. Anche i bambini che lo avevano conosciuto ed amato come un nonno, parteciparono con dolore portando in braccio i tantissimi fiori arrivati alla casa del capitano.
Durante le esequie nessuno fece più caso al cane e quando al termine delle funzioni funebri lo cercarono, qualcuno disse di averlo intravisto fino alla chiesa, altri fino al cimitero, ma di Meza Recchia non vi erano più tracce.
Il giorno seguente, quando i parenti ritornarono alla casa del capitano per rimetterla in ordine, trovarono il cane accucciato sulla soglia della porta che guaiva e piagnucolava. Guardandolo negli occhi si intuiva benissimo quanto stesse soffrendo quella povera bestiola.
Era una scena straziante e chiunque passava lì davanti non poteva fare a meno di fermarsi e commuoversi.
I familiari del capitano volevano portarselo a casa per accudirlo al meglio, ma lui fece subito capire di non avere alcuna intenzione di muoversi da lì, arrivando persino a ringhiare, cosa che non aveva mai fatto prima di allora.
A quel punto tutti capirono che il cane voleva rimanere lì, da solo, sulla soglia della porta del suo vecchio padrone morto a fare la guardia alle tantissime avventure che avevano condiviso insieme.
Così decisero di lasciarlo stare tranquillo per un po’, tanto non appena gli sarebbe venuta fame, sarebbe stato lui stesso ad andarli a cercare.
Ma così non fu; Meza Recchia rimase lì fermo per vari giorni. Si nutriva solo di acqua che i bambini gli portavano ogni giorno con tanto affetto cercando di convincerlo a tornare a giocare con loro come aveva fatto fino a pochi giorni prima.
Notando la sua ostinazione, gli incominciarono a portare anche del cibo, ma lui nemmeno lo guardava.
Dopo 7 giorni senza toccare cibo e senza mai alzarsi dalla soglia della porta di casa del suo vecchio capitano, il 18 novembre 1954, alcuni marittimi montesi che di prima mattina andavano a Baia per imbarcarsi, trovarono il vecchio cagnolone stecchito e senza vita; si era lasciato morire per poter raggiungere, al più presto, il suo amato padrone.
Anche Meza Recchia, così come il vecchio capitano Onofrio, aveva in volto un’espressione di grande serenità, quella di chi sa che sta per ritrovare di nuovo la felicità.
…with <3
–Pasquale Mancino