La microrecensione di Astolfosullaluna – Ottobre
Perché Mussolini NON ha fatto anche cose buone
Il libro di Francesco Filippi
“L’errore si propaga, si amplia, vive infine a una sola condizione: trovare nella società in cui si diffonde un terreno di coltura favorevole. In esso gli uomini esprimono inconsapevolmente i propri pregiudizi, gli odi, le paure, le proprie forti emozioni […] Solo grandi stati d’animo collettivi hanno il potere di trasformare in leggenda una cattiva percezione”
Marc Bloch, La guerra e le false notizie…, 1921, cit. in Premessa
Non si sa se servirà a fermare, che dico, almeno ad arginare la brutta piega di una storia italiana riletta secondo bassissimi istinti, oscuri desideri e poca, pochissima, scienza, ma il piccolo libro di F. Filippi è nato proprio con questo scopo. Il suo Mussolini ha fatto anche cose buone. Le idiozie che continuano a circolare sul fascismo puntualizza con documenti alla mano momenti e svolte del regime che ancora oggi, anzi, più ancora oggi, alimentano leggende e stati d’animo, insieme all’irresistibile voglia di tornare, recuperare, ripristinare il peggio ritenuto arbitrariamente il meglio del nostro Novecento. In un’epoca in cui al guazzabuglio intricatissimo ed indecifrabile di bugie ed approssimazioni che promuove Internet, acritico per definizione, si aggiungono le contraddizioni del ceto politico più povero di sempre, forse, non solo da noi ma, come appare evidente, su scala mondiale. Mentre il “capitano in divisa d’occasione” Salvini alimenta con furbizia la paura del diverso, distorce la realtà, crea mostri che portano acqua alla follia sovranista e si fa interprete di un’opinione pubblica impaurita, razzista contro la propria stessa sensibilità cristiana. Col confuso disegno di allacciare legami politici e culturali (?) con altri capetti sedicenti crociati di radici religiose dell’Europa, Ungheresi, Polacchi, Slovacchi, Cechi, e l’ambizione di legarsi anche ai campioni mondiali del revisionismo geopolitico post 1945 e, più ancora, post 1989, l’anno del muro di Berlino sbriciolato.
Oltre il pollaio nazionale spicca il Trump dall’ignoranza imbarazzante, espressione dei ceti culturalmente più chiusi, quelli dell’America first, nel senso che i padroni del mondo sono ancora e sempre loro, gli Yankee, e guai a chi è contro, Cina più di tutti. La “guerra dei dazi” è oggi il fronte dello scontro tra il vecchi zio Sam, capitalista in abiti western, e il nuovo capitalismo statale in livrea comunista che nel formale rispetto di Mao invade mercati e Mondo, conquista spazi in tutti i continenti, abbatte equilibri economici e ridimensiona gli Usa. E la destra americana reagisce.
Come se, dopo il generoso e fondamentale intervento in Europa di F.D. Roosevelt contro nazismo e fascismo, presidenti democratici e repubblicani non avessero già marcato con decisive ingerenze tanti passaggi storici del secolo scorso. Astolfo allude a vicende internazionali pesantemente orientate dagli Usa in questo lungo dopoguerra: il Medio e l’Estremo Oriente, l’Iran, il Sudamerica, realtà africane, Cuba, la “tutela” sull’Italia –dopo il ’47-, che allertava gli Americani ad intervenire in armi se alle elezioni non avessero prevalso i partiti di centro o di destra moderata, e chiede cortesemente al lettore di informarsi… Dall’altro lato il poco democratico “zar” Putin, impegnato con ogni mezzo nella rinascita politica della Russia, il Paese orfano martoriato del sogno comunista e da sempre privo di tessuto e cultura democratici, morti i relativi tentativi di costruirli nel 1905 (!) e febbraio ’17. Ebbene, i due giganti nemici nella guerra “fredda”, Usa e Russia, divisi su molto, vedono i loro presidenti strizzarsi l’occhio contro l’Europa, debole come mai dopo il 1956, l’anno in cui prese la prima forma la futura UE con belle speranze e idee di sognatori cosmopoliti.
E ancora, qua e là per il mondo, tirannelli pronti ad accendere polveri di conflitti, locali per dimensioni, globali per implicazioni e conseguenze. Conflitti per lo più ignorati dalle opinioni pubbliche occidentali, sino a che essi non entrano in collisione con la quotidianità: l’approdo di migranti al sud Europa, Italia prima frontiera, i consumi colpiti da nuovi costi, la sicurezza minacciata da terrorismi, la fede religiosa attaccata dall’estremismo islamico, o altro. Turchia, Ucraina, i dittatori africani e sudamericani, tutti godono della simpatia dell’uno o dell’altro dei due “grandi”, nella serie infinita delle alleanze tattiche di Russi e Americani per il controllo strategico delle aree del pianeta. Con la corsa cinese a conquistare consensi non con atti di guerra ma con la fortissima penetrazione commerciale, gli acquisti e i finanziamenti, strumenti che da venticinque anni stanno sconvolgendo ogni modello economico nato dalla quarta e quinta rivoluzione industriale. In poche righe questo appare al nostro Astolfo lo scenario nel quale siamo, con stati d’animo preoccupati, solitudini alimentate da ignoranze proprie e delle classi dirigenti già dette, responsabili di nessuna visione prospettica in un mondo arduo. Di qui i luoghi comuni, scorciatoie di desideri di un nuovo fascismo, sciocchezze vere e proprie nate dal saltare verità storiche documentate ben più che adeguatamente dai nostri studiosi, almeno dagli anni ’70 del secolo passato. Filippi chiarisce e corregge fino a respingere nel limbo della falsificazione, talvolta inconsapevole, talvolta deliberata, questa nostalgia del si “stava meglio quando si stava peggio”.
Nelle ca. 130 pp del suo libro smonta e neutralizza l’immeritata fama del regime in voga tra pigri lettori, non solo fasci e neonazi, ma, stando agli esiti delle elezioni da almeno due lustri, anziani e giovani, maschi e femmine. In otto rapidi ma documentatissimi capitoli il giovane storico guida il lettore ignaro senza pre-giudizi, tra i principali luoghi comuni che alimentano incredibilmente nel terzo millennio la rinascita dei miti mussoliniani. “Mussolini ha dato le pensioni”, nel senso della previdenza, della sollevazione dalla miseria anche dopo una vita di lavoro, dell’ ” assistenza gratuita a tutti gli italiani”. E fa emergere l’origine tedesca, con Bismarck, del primo esempio di welfare, riassume le legislazioni 1895-1919 dell’Italia liberale che anticipano sia gli interventi degli anni ’20 che quello centrale del 1933, quando nacque l’INFPS, l’Istituto Nazionale Fascista della Previdenza Sociale, restyling dittatoriale della vecchia <Cassa nazionale di Previdenza per l’invalidità e la vecchiaia degli operai>, nata nel luglio del 1898 ad opera del famigerato governo Pelloux, quello della strage sul sagrato del Duomo di Milano del maggio precedente. Nel dopoguerra la Repubblica mantenne l’INPS e nel 1969 diede all’Istituto la forma che è arrivata a noi, creando la pensione sociale. Stessa storia per la tredicesima, nata sì nel ’37 ma per i soli impiegati dell’industria, estesa nel ’46 a tutti i dipendenti industriali ed infine riconosciuta a tutti i lavoratori solo nel 1960; come la cassa integrazione, nata in epoca repubblicana nel 1947. Filippi riprende la verità storica dell’inconciliabilità tra mondo del lavoro e fascismo, spiega, carte alla mano, che la legge del 3 aprile 1926 privò il proletariato delle rappresentanze sindacali, del diritto di sciopero, istituì il sindacato di regime. Peggio di così… E, di seguito, fa parlare i documenti su altri temi ancora oggi rivendicati da fan disinformati del ventennio: la bonifica integrale dei territori malsani del basso Lazio e del Veneto, con la lotta alla malaria e all’abbandono dei terreni; la costruzione di case popolari, strade, città; la legalità e la gestione della giustizia; il progresso dell’economia e il benessere del Paese; la valorizzazione della donna in società; il ruolo di statista e condottiero del duce; infine, la leggenda di Mussolini “dittatore buono” in generale, in particolare in rapporto al truce e demoniaco Hitler. Poi, ancora, le approssimazioni e le falsità di miti minori ma importanti per la reputazione storica del regime e del suo capo: i treni arrivavano in orario; i ministri giravano in bicicletta e senza scorta; uguali diritti per uomini e animali; agli italiani fu permesso di fare più figli e la popolazione crebbe; l’Italia fu un faro d’avanguardia nelle scoperte scientifiche. Tante non-verità che ai nostri giorni ricreano la nuova mitologia su di un regime che portò l’Italia alla disfatta e alla vergogna, già prima della notte di Salò e del servilismo verso i Tedeschi dopo l’8 settembre. Materia che Filippi espone con chiarezza esemplare ciò che sembrava acquisito e non lo era e che, invece, bisogna riprendere e rispiegare con calma oggi, al tempo del click che apre a ciascuno ciò che vuole trovare nel mare davanti alla tastiera.
F.Filippi, Mussolini ha fatto anche cose buone, Bollati Boringhieri 2019
astolfosullalun_2019@libero.it
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