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Storia di Monte di Procida: il torrione, la torre vicereale di punta del fumo

Sin dai tempi antichi, lungo i litorali costieri, furono edificate postazioni con funzioni di avvistamento e difesa dei porti e delle città.

Tra la fine del 1400 e la prima metà del 1500 l’Italia meridionale venne presa di mira dalle incursioni Saracene e Corsare. Fu così che gli Angioini, regnanti a Napoli in quel periodo, pensarono ad un sistema permanente di difesa basato sulla realizzazione di torri di avvistamento, ma le continue contese con gli spagnoli non consentirono la riuscita del progetto.

Nel 1532, il viceré di Napoli Pietro di Toledo emanò ordinanze rivolte alle singole Università (i comuni), imponendo loro di proteggersi da eventuali attacchi saraceni con la costruzione a proprie spese di torri di avvistamento marittimo, ma la ripresa del conflitto franco-spagnolo rallentò la realizzazione del progetto.

Nel 1563, il viceré don Pedro Afan de Ribera duca d’Alcalà emanò precise istruzioni ai governatori provinciali nelle quali era previsto che la costruzione delle torri era decisa dalla Regia Corte; che le fortificazioni esistenti ritenute di pubblica utilità venivano espropriate dietro indennizzo; che regi ingegneri avrebbero individuato le località adatte alla costruzione di una catena ininterrotta di torri per tutto il Regno; che le spese della costruzione sarebbero state imputate ai comuni cointeressati in proporzione alla popolazione.

Fu così che, nel 1563, il regio ingegnere Benvenuto Tortelli constatò la necessità di costruire altre cinque importanti torri, nella provincia del regno denominata “terra di lavoro” tra le quali quella strategica indicata proprio nel territorio della borgata “Monte” comune di Procida.

Venne individuato il punto costiero, dove adesso sorge il cimitero montese, in quanto permetteva un’ampia e agevole visuale sia sul golfo di Napoli che sul golfo di Gaeta e si univa visivamente alle già esistenti torri nord della Gaveta (Torre Gaveta) e di Licola/Cuma ed alle torri est di capo Miseno e Nisida con le quali era possibile scambiare segnali luminosi e di fumo per trasmettere messaggi e richiedere soccorso.

Una relazione del 1590 elenca 339 torri nel Regno di Napoli e l’intero progetto si concluse solamente nel 1601; le torri realizzate lungo le coste furono circa 400.

La “torre montese” era una cosiddetta “torre vicereale” in quanto costruita nel periodo del vicerè don Pedro Afan, quindi dopo il 1563. Non era una torre di difesa in quanto non vi era una città ed una popolazione da difendere ed era molto improbabile un attacco dei saraceni in quanto, sul Monte, non vi era niente da saccheggiare. Era, invece, una importante e strategica torre di avvistamento e per questo motivo era imponente tanto da essere definita “torrione” (torre grossa, massiccia).

Era simile alle precedenti torri aragonesi, a pianta quadrata, con basamento a scarpa, mura provviste di feritoie e spesse oltre 3 metri sui lati rivolti verso il mare e sormontate da una terrazza delimitata da merlature. La torre era costituita da un piano abitabile di circa 25 mq. con la volta a botte e con la presenza di un camino utilizzato sia per il riscaldamento che per cucinare; nicchie ricavate nei muri, lato terra, facevano da armadi e ripostigli. Nel basamento era spesso ricavata la cisterna per l’acqua ed a fianco di questa vi era il deposito dei viveri.

All’esterno, in sommità, su ciascuno dei quattro lati della torre, erano posizionate generalmente tre caditoie o troniere verticali. Sulla terrazza, in genere sulle torri di difesa, veniva collocato un piccolo cannoncino in grado di colpire imbarcazioni a circa 600m ed una o più “petriere” cioè piccole catapulte in grado di lanciare sassi verso il mare.

Generalmente la torre era occupata da due o tre uomini, cui era affidato il compito di scrutare continuamente, giorno e notte, l’orizzonte e segnalare eventuali pericoli alle altre torri vicine che ripetevano a loro volta la segnalazione alle torri adiacenti.

La comunicazione avveniva di giorno mediante segnali di fumo in varie tonalità e forme a seconda del tipo di messaggio e di notte con l’accensione di fuochi. Il numero di fuochi corrispondeva a quello delle navi in arrivo e la fumata, nei limiti del possibile, era rivolta nella direzione da cui queste provenivano. Le segnalazioni erano precedute sempre da un fortissimo suono di campana.

In genere le torri prendevano il nome della località dove venivano costruite, sul Monte, disabitato e con la maggior parte delle zone ancora prive di un nome specifico, al contrario, fu la torre a dare il nome alla località. Più precisamente furono i dirimpettai procidani a battezzare quella zona come località Fumo, punta del Fumo, Torre Fumo, Torrione (‘u turrion), ecc. proprio per la presenza della torre e dei fumi delle segnalazioni.

Il progetto delle torri si dimostrò comunque molto costoso ed inadeguato anche per la mancanza di una flotta di appoggio e non valse a scongiurare tutte le incursioni, ma si dimostrò un valido mezzo di monitoraggio delle imbarcazioni di passaggio.

A partire dal 1700 queste torri, cominciarono ad essere abbandonate o cedute a privati che le trasformarono e ne cambiarono la destinazione.

Dopo circa 100 anni di utilizzo anche la nostra “torre” finì per essere abbandonata all’indifferenza e ridotta in poco tempo a rudere. Successivamente, verso il 1870, proprio sulle sue rovine venne costruito l’attuale cimitero comunale di Monte di Procida.

Ricostruzione ideale della torre di avvistamento montese (Pasquale Mancino)

La sua scomparsa fisica non ne ha di certo cancellato la memoria, anzi a testimonianza della sua presenza, sul Monte, abbiamo ancora oggi “via Torrione” cioè la strada che conduceva ad essa, “for ‘a torr” il quartiere vicino alla torre, senza dimenticare la più recente “passeggiata di Torrefumo“.

Quella vecchia torre vicereale di avvistamento del Monte di Procida, che oggi possiamo solo provare ad immaginare, ha segnato, probabilmente per sempre, il nostro territorio e la nostra storia.

Pasquale Mancino
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