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ROSSO CAPUANO presenta “La Nuova Vita di Anna Canetti” Fondi di Baia venerdi 26 settembre ore 18.30

ROSSO CAPUANO
“La Nuova Vita di Anna Canetti”, il romanzo di Rosso Capuano

“La storia di Nina è quella di un’umile ragazza popolana vissuta dalle nostre parti , nelle contrade disseminate in mezzo alle campagne di Bacoli, Torregaveta e Cuma in un passato – dal punto di vista letterario – atemporale, per la storia più o meno coevo con quello delle bisnonne dell’autore, citate nell’introduzione, o, comunque,alla portata della loro memoria.(..)”

Di seguito si riporta il testo della recensione al libro del prof. Giuseppe Nappi

La storia di Nina è quella di un’umile ragazza popolana vissuta dalle nostre parti , nelle contrade disseminate in mezzo alle campagne di Bacoli, Torregaveta e Cuma in un passato – dal punto di vista letterario – atemporale, per la storia più o meno coevo con quello delle bisnonne dell’autore, citate nell’introduzione, o, comunque,alla portata della loro memoria. Costretta a diventare precocemente donna, per quanto dotata di sensibilità e capacità di imparare a leggere e scrivere, Nina non riesce a sfuggire alle consuetudini,alle leggi e alle regole non scritte di quella società, fatta di miseria e di arretratezza, in cui è nata e radicata. E’ una creatura primordiale abituata a subire e a soffrire in silenzio, capace di sentimenti genuini non sempre manifestati perché celati nei recessi più nascosti dell’animo, un personaggio che definirei non tanto ” in formazione”, come quelli che vedono la propria personalità maturare ed evolvere attraverso traversie vissute e disgrazie accumulate, quanto piuttosto “in deformazione”, considerata l’abbrutita condizione personale a cui viene ridotta e l’infelice conclusione della sua storia.
Per raccontare la triste parabola di questa anti-eroina, l’autore utilizza una voce narrante esterna alle vicende, una voce “fuori campo”, chiaramente la sua, che più volte assume implicitamente il ruolo di narratore onnisciente conoscitore di presente, passato e futuro, in grado di penetrare a fondo le motivazioni dei personaggi e offrire una spiegazione, intervenendo spesso nella narrazione per fornire ragguagli comportamentali o psicologici. Solo alla fine egli esce completamente allo scoperto e , sia pure per poco tempo, diventa narratore interno-testimone , a cui viene affidato il diario di Anna, dopo la sua morte, direttamente dalle mani di un altro personaggio, Antonio, il cameriere della locanda.
Che questo diario possa essere visto come un espediente letterario alla maniera del famoso manoscritto manzoniano è materia poco interessante. Gli scrittori – si sa – ricorrono a queste strategie per nobilitare il loro lavoro o per garantire ad esso quel carattere di verosimiglianza che altrimenti potrebbe essere messo in discussione o per non assumersi eccessive responsabilità rispetto a contenuti ritenuti scabrosi. Niente di queste tecniche artificiose nelle pagine, vere ed autentiche, di Rosso Capuano, nelle quali alita il respiro di una società ai nostri occhi quasi arcaica, tenuta ancora in vita dal filo della sua memoria e di quella trasmessagli da altri, abitata da janare e creature misteriose che influenzano e dirigono le azioni, in cui la lotta per la sopravvivenza esalta ora il bene, ora il male, l’uno e l’altro vissuti sulla pelle e – direi – sulla carne dei protagonisti di quel mondo – lontano da noi eppure tanto vicino – di cui egli vuole essere mediatore e trasmettitore rispetto all’oggi. Attingendo a quella dimensione apparentemente magica, ancestrale, ma sostanzialmente vera e concreta, egli crea/ricrea personaggi animati da una forza barbarica e primitiva, sensuale e violenta, una realtà che evidentemente lo attrae e lo incuriosisce dal punto di vista intellettuale, non solo per i suoi aspetti sani ma anche per quelli deviati, tanto da spingerlo ad indagare anche nella sfera più bassa – alquanto torbida e squallida – di quella condizione umana miserevole, avvilita da stupri, reali o tentati, da rapporti incestuosi tollerati e da violenze legate a superstizioni popolari ed a riti fallici, da uomini prepotenti e da donne sottomesse e vulnerabili, vittime ed oggetto di piacere. Un microcosmo, insomma, colto anche nei suoi aspetti corrotti e malsani cui fanno da sfondo e da contrappunto un paesaggio e una natura ancora incontaminati e non ancora deturpati.
Uno dei motivi di fascino del romanzo di Rosso Capuano, che proprio per il suo impianto non facile e per l’arduo terreno su cui procede è un romanzo vero, palpitante, somigliante per certi aspetti ai romanzi “psicologici”, è probabilmente questa ambiguità di fondo che alterna/ mescola/intreccia la sua arte raffinata, che ricorre spesso ad uno stile elevato e lirico, con l’adesione (da non confondersi con complicità) ad un mondo che si regge su un’economia povera, in cui talvolta fa capolino il sentimento dell’avarizia e della “roba”, un universo che vive di comportamenti istintuali e si nutre di rituali atavici anche inquietanti per rappresentare i quali nella loro immediatezza egli ricorre spesso ad espressioni dialettali. Quella che rappresenta è la sintesi di un mondo, alla cui memoria – ribadiamo – è evidentemente legato, che per lui rischia di perdersi. Da qui quelle immagini paesaggistiche e quelle visioni che egli, figlio di questa terra, “sente” naturaliter, di cui percepisce – mi azzardo a dire –fragranze, voci e forme, introiettate nei sentieri dell’anima quasi per un richiamo familiare, un vincolo di sangue, e trasformate in tocchi spesso lievi e delicati, eppure densi, capaci di descrizioni minuziose, attente, che non trascurano alcun dettaglio, con termini lessicali che sembrano inseguirsi tra loro per esplicare in successione un’azione, uno stato d’animo, un particolare osservato (esempio pag. 21: “continuava ad osservare incuriosita la mamma e la cugina che confabulavano, ridevano, piangevano, si abbracciavano, giocavano a sfuggire alle onde e a inseguirle nella loro ritirata”).
Appare evidente che, rispetto ai lavori precedenti, Rosso utlizza un registro linguistico più maturo, con un repertorio descrittivo più convinto e più convincente, si intrattiene di più sui particolari della descrizione degli ambienti, dei paesaggi, delle cose (vedi la descrizione del letto della casa di Anna nei capitoli iniziali, ma gli esempi sono tanti), ricorrendo ad un’aggettivazione copiosa ma non sovrabbondante, che pur “vivisezionando” l’oggetto della descrizione riesce a salvaguardare quella sua capacità di produrre sequenze asciutte e nello stesso tempo vivide, che costituisce un altro tratto distintivo della sua prosa chiara e nitida, senza forzature linguistiche ardite o modernismi lessicali, tanto cari alla nouvelle generation di scrittori, spesso ai confini del turpiloquio.
È vero che ( un limite lo dobbiamo pur cogliere! …) in qualche occasione l’insistenza sulle sequenze descrittive sembra rallentare il ritmo dell’azione narrativa, che rimane un po’ in stand-by in attesa di essere “riaperta,” ma l’impressione dura poco, perché poi la narrazione riacquista il suo piglio deciso. Anche quando affronta le situazioni erotiche legate al desiderio sensuale, considerate fondamentalmente come forza della natura tali da provocare comportamenti animaleschi o, per usare le parole di un personaggio, umaneschi , l’autore non lo lo fa con occhio da voyeur , ma senza malizia e con distaccato equilibrio; pur disponibile a parlare anche degli aspetti più materiali del sesso, non si sofferma nella descrizione di quei particolari che potrebbero essere scambiati per morbosa curiosità. Un romanzo, in definitiva, che nel bene e nel male rappresenta una storia molto profonda, dal sapore agro-dolce, che, come nel romanzo realista di una volta, diventa un prezioso documento letterario per il nostro territorio , finora indagato da storici, scandagliato da archeologi, ma alquanto trascurato da scrittori, almeno quelli di un certo valore letterario. Anche questa volta , però, questo vuoto in parte è colmato da Rosso Capuano con un libro che colpisce la nostra sensibilità e rigenera il nostro spirito costruendo vicende e disegnando personaggi destinati a rimanere a lungo nella nostra memoria. Almeno fino al secondo romanzo…
prof. Giuseppe Nappi

Brevi note biografiche dell’autore:
Rosso Capuano (all’anagrafe Capuano Rosario Mario), nasce nell’anno 1946 a Monte di Procida (Torregaveta), si laurea in lingue presso l’Università “L’ Orientale di Napoli”, ha insegnato inglese presso diversi istituti della nostra provincia, conclude la sua carriera di insegnate presso l’Istituto Tecnico “ Vilfredo Pareto” di Arco Felice/Pozzuoli.
Il suo precedente libro – un libro di racconti sulla memorie e le origini ebraiche di una parte della gente del nostro territorio – dal titolo:
“I racconti di Giosafatte e del suo settimo nipote”
(Antonio Pisano Editore)

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