Brevi cenni di storia del silurificio di Baia-Fusaro e del siluripedio dell’isolotto di S.Martino
Nel 1935, nell’ambito di una riorganizzazione, lo stabilimento di produzione del silurificio italiano di Napoli via Gianturco si trasferisce a Baia. Uno dei motivi che portò al trasferimento era proprio dovuto alla grande distanza fra gli stabilimenti di Napoli e il siluripedio che dal 1917 si trovava sull’isolotto di san Martino ed era dotato di tutte le più moderne strumentazioni per la sperimentazione, la messa a punto ed il collaudo dei siluri e delle relative apparecchiature di regolazione, lancio e comando oltre alla presenza di mezzi navali per il supporto ed il recupero dei siluri nel campo di lancio.
Il trasferimento della produzione, dapprima sotto la direzione dell’ing. Raffaelli e poi direttamente sotto la guida dell’Ammiraglio Eugenio Minisini termina nel 1939. L’ammiraglio era un esperto di armi navali ed in particolare di quelle subacquee. I siluri prodotti a Baia (prima del 1940) venivano portati sui pontoni via mare, da Baia e da Torregaveta, fino all’isolotto di San Martino dove venivano testati e collaudati prima della consegna.
Le esigenze belliche della seconda guerra mondiale imposero di aumentare la produzione, ma per non concentrare un’attività così importante in un unico impianto, la direzione del silurificio decise di realizzare un nuovo impianto nella zona pianeggiante del Fusaro (attualmente Selex – ex Alenia) a metrà strada tra il siluripedio di S. Martino e lo stabilimento di Baia; al Fusaro furono trasferite le lavorazioni meccaniche e la fonderia mentre a Baia si tenevano le prove alla vasca oltre al montaggio degli armamenti che rappresentava la parte più importante.
I lavori, iniziati nel 1939, terminarono verso la metà del 1943 e lo stabilimento del Fusaro venne collegato a quello di Baia mediante una galleria lunga 1.3km ed al siluripedio di S. Martino mediante un pontile ed un’altra galleria (quella sotto Monte di Procida, terminata nel 1940): in questo modo i tre stabilimenti costituivano un unico impianto. I lavori di scavo furono affidati ad una ditta locale che si servì di vari esperti tagliamonte montesi e bacolesi delle vicine cave di tufo.
Nella parte superiore dell’isolotto vi erano edifici utilizzati come torre di controllo durante i lanci di prova dei siluri oltre ad uffici ed appartamenti che l’ammiraglio Minisini occupava quando era in loco.
Il tunnel Baia-Fusaro seguiva, o per meglio dire segue, perché esiste ancora, più o meno il percorso tracciato nell’immagine allegata ed inizia proprio di fronte all’attuale ingresso dell’ISVREM. In effetti, proprio qui, fino a qualche anno fa era ancora visibile un binario che attraversava la strada e si dirigeva verso la collina di Bellavista. Lato Fusaro invece la galleria sbuca proprio all’interno dello stabilimento della Selex che ne è attualmente proprietaria e dal 2009 ha affittato la galleria ad un grossista di materiale edile che la usa come deposito. Molti dubbi, invece, permangono sull’esistenza di un terzo tunnel che avrebbe dovuto collegare, a partire da una biforcazione, il tunnel Baia-Fusaro direttamente all’imbocco del tunnel per l’isolotto. Molto probabilmente era solo un progetto e non fu mai realizzato o forse quando si parla del terzo tunnel si fa riferimento a quello piccolo presente proprio sull’isolotto e che congiunge le due estremità dello stesso.
Nello stabilimento di Baia, oltre ai normali siluri, venivano realizzati, segretamente, anche dei prototipi di piccoli sottomarini d’assalto denominati “SA“, progettati dallo stesso Ammiraglio Minisini. Ovviamente le spie nemiche non stavano certo a dormire ed i progetti dell’SA1 (nome in codice Sandokan) e della sua evoluzione in SA2 (nome in codice Janez) erano conosciuti dai tedeschi, dagli inglesi ed anche dagli americani, ma forse questo non era un grosso problema per gli italiani perché il vero progetto super segreto di quel periodo era il terzo prototipo, l’SA3 denominato “Kammamurì” (in dialetto: qua dobbiamo morire) di cui nessuno ne era a conoscenza perché realizzato, non a Baia, ma in un capannone segreto dello stabilimento del Fusaro dove l’accesso era rigorosamente riservato a pochissimi.
Molto si parlò, in seguito a vari fallimenti, di un presunto sabotaggio dei siluri per renderli innocui. Fu anche individuato il responsabile in un collaudatore il quale venne denunciato e portato in giudizio. Venne assolto dopo la guerra perchè il fatto non costituiva reato; sembra che il collaudatore, non per espressa volontà, non eseguiva correttamente la procedura di collaudo.
Dopo l’armistizio del ’43 i tedeschi, in ritirata, distrussero il silurificio di Baia minando ed incendiando gli impianti. Al Fusaro vennero fatti crollare i capannoni ed all’isolotto di San Martino venne minato il ponte e la galleria. Quando, ad ottobre, arrivarono gli alleati americani prelevarono i prototipi dell’SA1 e dell’SA2 ma non dell’SA3 di cui non ne erano a conoscenza ed i cui progetti furono trasferiti poco prima al nord Italia.
In compenso convinsero l’ammiraglio Minerini alla collaborazione portandolo negli USA insieme ai suoi migliori ingegneri. In quanto all’SA3 Kammamurì, il prototipo messo in mare per i test venne volutamente affondato sui fondali degli isolotti Li Galli a Positano dopo essere stato scoperto ed inseguito dalla flotta inglese al largo di Capri.
Gli stabilimenti di Baia e del Fusaro vennero quindi occupati dalla Royal Navy e solo una piccola parte dell’impianto di Baia rimase affidata alle autorità italiane per svolgere lavori di revisione su circa 700 siluri della Marina Italiana.
Nella seconda metà degli anni ’50 la Marina vendette il tunnel che conduce a San Martino ad un privato, il signor Esposito che nel 1959 ricevette la concessione d’uso dell’isolotto per 40 anni dal sindaco Tozzi del comune di Monte di Procida e ne fece una rinomata stazione balneare e turistica.
Pasquale Mancino