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Segni nel colore Mostra di Nunzio Figliolini 7-8 e 14-15 giugno Pozzuoli.

Nunzio FiglioliniIl 7-8 e 14-15 giugno 2014, al Palazzo Migliaresi del Rione Terra di Pozzuoli si terrà la Mostra di Nunzio Figliolini Segni nel colore, patrocinata dal Comune di Pozzuoli e dalla Regione Campania. VAI AL SITO
La mostra è anche un’occasione per visitare il Rione Terra di Pozzuoli da poco riaperto al pubblico.NUNZIO FIGLIOLINI è nato a Napoli, il 27-10-65. Consegue il diploma nell’85, di maturità in Arte Applicata, come Disegnatore di Architettura e Arredamento presso l’Istituto d’Arte “U.Boccioni” di Napoli. Dall’83 l’attività pittorica diventa sempre più costante e lo dimostrano le numerose partecipazioni in collettive di giovani e di affermati artisti. Nell’86 si iscrive al corso di pittura dell’Accademia di Belle Arti di Napoli e frequenta le lezioni di storia dell’arte impartite dal critico Giorgio Di Genova. Partecipa alle mostre dell’Accademia classificandosi ai primi posti. Conclude con lode gli studi. Lavora come progettista e arredatore da “MIM”. Nell’87 conosce il gallerista Raffaele Formisano, che lo invita a far parte degli artisti della sua galleria. Sempre nell’87 ha modo di conoscere personalmente Robert Rauschenberg, in occasione di una sua mostra a Napoli. Partecipa dal 1982 a numerose collettive, tra cui vale la pena citare “Terrariafuoco”(1986), “Euterpe & Eratro”(1989), “Per il cuore”(1990), “Opus Vinii”(2001), “Scavare il Futuro”(2002), “Fra(m)enti”(2004), “Cuma, il volo e la parola”(2006), “Comunicare l’invisibile”(2007), “Da qui”(2008), “Terza Triennale Internazionale Logos & Bidone”(2011). Protagonista della ricerca artistica contemporanea, riceve premi e riconoscimenti nazionali ed internazionali. E’ attivo anche nel campo dell’insegnamento: nel 1993 consegue il 1° posto al Concorso per l’insegnamento delle Discipline Pittoriche a Roma e sempre il 1° posto per l’insegnamento di Arti applicate a Napoli, diventando docente ordinario negli “Istituti di Istruzione Artistica”. Nel 2007 consegue il titolo del Biennio Specialistico in Arti Visive Scultura, presso l’Accademia di Belle Arti di Napoli e la sua produzione artisitca si appropria di molteplici media tra cui spiccano: fotografia, video e installazioni. Di particolare rilevanza queste ultime, quando assumono carattere ambientale, poichè sono concepite per dialogare sia fisicamente sia concettualmente, con il luogo con il quale vanno inserite. Attualmente è docente di Discipline pittoriche presso il Liceo Artistico di Napoli, vive e lavora a napoli ed è impegnato sul versante della ricerca pura, talvolta tralasciando la produzione fine a se stessa.

Eduardo Alamaro, Enrica Budetta, Luca Castellano, Vitaliano Corbi, Bruno Chiarini, Giorgio Di Genova, Marco Di Mauro, Mario Forgione, Gino Grassi, Mimmo Grasso, Thomas Linsmayer, Domenico Natale, Gaia Salvatori, Michele Sovente, Stefano Taccone, Ugo Piscopo, Marcello Venturoli, Elmar Zorn.

Oltre vent’anni al timone della fantasia «Tra geometia e fantasia»: tale definizione, con la quale Marcello Venturoli accoglie la sua opera aurorale, appare, a distanza di oltre un ventennio, una telegrafica quanto formidabile sintesi di quello che è il movimento dialettico sul quale fa costantemente perno l’opera di Nunzio Figliolini. Un cammino tutt’altro che lineare, fatto di corsi e ricorsi, abbandoni e riesumazioni, ipostatizzazioni ed azzeramenti, ma imboccato con risolutezza ad un’età assolutamente precoce, circostanza che spesso provoca non poco stupore, come testimoniano, tra l’altro, le parole di Michele Sovente, poi suo professore all’Accademia di Belle Arti di Napoli. I dipinti di Figliolini appaiono cioè negli anni sempre leggibili come sistemi composti da più elementi in perpetua mutazione di equilibrio, come risultanti di più istanze, tra loro in antitesi o comunque divergenti, coinvolte in una sorta di lotta per l’egemonia. Da una parte, in primis, il riferimento alla regolarità delle figure geometriche, una inclinazione razionalistica che egli esplica forse con maggiore compiutezza solo nell’attività di progettista ed arredatore, che svolge a cavallo tra gli anni ottanta e novanta, ovvero parallelamente alla fase iniziale della sua carriera artistica, e che per un po’ pensa di seguire fino in fondo dedicandosi a studi architettonici, abilitandosi ed insegnando Design per diversi anni. Dall’altra una inarginabile istanza di libertà e flessibilità compositive, che stronca costantemente sul nascere ogni forma ideale, determinando il materializzarsi di paesaggi interiori ove triangoli, quadrati, rettangoli, trapezi, cerchi, ovali sono evocati solo nei loro innumerevoli stravolgimenti. Una insofferenza per il rigido ed il conchiuso che si ritrova peraltro nella sua stessa indole di uomo, oltre che di artista, e corrisponde, ad esempio, alla sua modalità non propriamente convenzionale di rapportarsi al sistema dell’arte. Il secondo piano del conflitto si gioca nell’ambito del rapporto tra figura e fondo: se le primissime prove ufficiali (1987), cariche di una certa quale aura neometafisica, possiedono ancora implicazioni stereometriche, benché la terza dimensione, e con essa una chiara visione prospettica, appaiano, con deliberata contraddittorietà, negate nel medesimo momento in cui sono evocate, di lì a poco il discorso si sintonizza pressoché definitivamente sul versante della bidimensionalità, ma arrestandosi appunto su quel crinale che permette ancora una distinzione tra figura e fondo, coinvolti in un ventaglio di soluzioni che tendono ora alla distinzione netta ora alla fusione, che non risulta mai però in verità pienamente conseguita, neanche in quei dipinti eseguiti tra il 2003 e il 2004, allorché (forse per effetto del sopraggiunto stato di paternità?), nella virulenza del colore, più vivo e squillante che mai, sembra sciogliersi quasi completamente ogni retaggio geometrico, fino a conseguire risultati che denotano inattese ma non peregrine somiglianze con la pittura d’azione americana. L’equilibrio-disequilibrio tra colori, oltre che tra forme, risiede del resto fin dal principio a fondamento della sua pittura: queste ultime appaiono tanto variamente articolate, nel loro audace e quasi bizzarro intersecarsi, quanto i primi convivono secondo rapporti assolutamente timbrici, originando giustapposizioni di campiture non meno spericolate, ma, con l’aprirsi del nuovo millennio, le geometrie si fanno più labili e non più connotate dalla predominanza di una sola cromia, bensì da complicati impasti di più tinte in grado di suscitare una pletora di combinazioni e sfumature. Siamo ora di fronte a prototipi che tanto nel disegno quanto nella colorazione ricordano in maniera assai prossima frammenti di affreschi antichi, quelli che fin da bambino Nunzio, evidentemente già attratto dalle qualità estetiche dell’indefinito, di ciò che è il prodotto di forze contrastanti (in questo caso la volitività plasmante dell’uomo e la casualità impersonale, ma ugualmente coerente ed univoca nella sua azione formativa, del “tempo pittore”), amava raccogliere aggirandosi per i natii Campi Flegrei, ove tutt’ora risiede. È questa la via intermedia che lo condurrà verso una pittura sempre più vibrante, sempre meno disposta a soggiacere alle costrizioni del geometrismo, sia pure quello eretico tipico della sua personalissima impostazione, benché solo di rado esso risulti davvero interamente eliso, mentre la colorazione si dimostra costantemente vivace e persino, in qualche caso, urlante. Neanche in quest’ultimo frangente, tuttavia, è lecito pensare ad una esperienza dagli esiti imprevedibili di rosenberghiana memoria: si tratta invece, ancora una volta, di un processo in cui l’opera cresce su se stessa in virtù dell’interagire tra un’apriori strutturato, ma non articolatamente definito in ogni sua parte, e le possibilità che si aprono man mano che esso avanza, in maniera tale, come osserva prontamente Gino Grassi, da non abbandonare «mai il timone della propria ricerca». Giungiamo così a considerare la produzione più recente, ancora una volta oscillante tra progetto ed impulso, tra regola e licenza, tra cosmo e caos, ma ora resa inconfondibile dal singolarissimo tratto ottenuto in virtù della sostituzione del pennello con le dita, un espediente che permette evidentemente all’artista di sperimentare un dialogo più diretto tra volontà plasmante e materia plasmanda. Ed ancora una volta si tratta di una soluzione riconducibile ad un moto di regressione infantile, al tipico gesto di disegnare sui vetri appannati nei giorni di pioggia, cosa che naturalmente il piccolo Nunzio amava fare, che si salda però con la cultura degli odierni dispositivi palmari. Appare più manifesta che mai, a questo punto, la sua vocazione a figurare, il cui arrestarsi ad uno stato embrionale fa però sì che non si risolva, se non in qualche momento circoscritto (si vedano la serie di volti e quella delle mani, immediatamente precedenti quest’ultima delle dita), nel riferimento sia pur minimo al mondo fenomenico, ma nella realizzazione di uno sterminato universo di figure che potremmo chiamare “non oggettive”, in quanto dotate di una presenza, una personalità, oserei dire, non troppo più flebile di quella che potrebbe possedere ad esempio un ritratto umano, eppure assolutamente non correlate ad alcuna cosa riconoscibile. Sono visioni che certo, nei loro fitti intrichi curvilinei, nella carica vitale della loro colorazione, ci appaiono tutt’altro che estranee alla nostra quotidianità, che si aprono come finestre su una dimensione che non ricordiamo lucidamente di aver esperito, eppure non possiamo che percepire come familiare. È un po’ come ascoltare una voce o contemplare un volto di una persona che ci hanno appena presentato, eppure nell’una e/o nell’altro riconosciamo un qualcosa di già conosciuto e magari già amato e non riusciamo a metterlo a fuoco! Ciò può avvenire semplicemente in virtù di alcune effettive somiglianze di tratti che ben custodiamo nell’archivio della nostra memoria uditiva e/o visiva, ma la nostra coscienza non li ha (ancora?) classificati. Allo stesso modo, all’incirca, reagiamo di fronte a questi nuovi paesaggi interiori di Figliolini, e ciò avviene perché essi, pur non rappresentando la natura, appaiono informati alle sue leggi, possiedono la tattilità del mondo organico, la sua flessuosità e la sua morbidezza.
Stefano Taccone

Cromie dall’Interno è un ciclo di opere pittoriche che ho realizzato tra Maggio e Agosto del 2010. Sono sgorgate di getto, dal profondo del mio “io”, come una forza prorompente di ricerca, dalle ampie superfici cromatiche. Questa è una serie di tentativi di ritrarre il paesaggio invisibile, intangibile, del passaggio del tempo, che attraverso la materia, in una compostezza organica, si fa mani-polare di tracciati del segno… Questa forza nuova mi affiora oggi, forte e chiara. Le mie dita, intinte nel colore acrilico, hanno creato un serrato corpo a corpo con la materia pittorica. Scolpendo il colore con le mani, ho cercato di dare corpo all’evocazione della “forma mentis” dei luoghi e delle geometrie mentali primordiali, nella ricerca di una topografia dell’inconscio reso conscio, con la proposizione di una sperimentazione libera di rito gestuale, che evidenzia il bisogno di restituire, attraverso un’assoluta comunicazione percettiva pura, qualcosa di quanto più vicino a quella visione della fase percettiva prenatale, o comunque del bambino, precedente al condizionamento visivo.
Nunzio Figliolini

Nunzio Figliolini imprime sulla tela l’ombra della sua mano, spargendo il colore sulle superfici libere. L’ombra, in quanto priva di volume e di consistenza, esprime un’ideale dissoluzione della materia per liberare lo spirito, ovvero l’essenza che si cela nell’intimità delle cose. La sua mano, riprodotta “in negativo”,diventa un campo di energia, di forza compressa, che rimanda concretamente al fare, all’incessante attività dell’uomo per edificare il suo futuro.
Marco Di Mauro

Nunzio Figliolini si colloca nella tradizione dell’arte concreta italiana di Lucio Fontana, Mario Nigro e Gianni Colombo, cercando, in modo tipicamente napoletano, il passaggio all’organico della natura.
Elmar Zorn

Nunzio Figliolini è un uomo meditativo: la sua produzione va in questa direzione interiore dalle forme essenziali, pure, senza fronzoli e concessione alcuna alla mondanità. Ama l’archeologia ed i reperti remoti: questo spirito del tempo passato traspare nelle sue essenziali plastiche.
Eduardo Alamaro

Figliolini dedica la sua ricerca allo sviluppo dell’astrattismo, via intrapresa dai grandi maestri Afro e Burri. Impresa non facile, perché questo percorso prevede una elevata maturità nella scelta, nonché un notevole impegno per asserire la propria personalità. Figliolini presenta un’opera notevole per l’essenzialità compositiva, l’equilibrio formale, la dignità espressiva.
Bruno Chiarini

Gli stati di trasformazione della materia i momenti in bilico tra solidità dei volumi e la fluidità dei liquidi in un impianto segnico dal godibile impianto naturalistico, interessano le raffinate grafiche di Nunzio Figliolini realizzate nelle tecniche dell’acquatinta, dell’acquaforte e della puntasecca.
Domenico Natale

Nunzio Figliolini è nato a Napoli, il 27.10.65 Dopo aver conseguito il diploma di maestro d’Arte presso il 2° Istituto d’Arte di Napoli, frequenta il successivo biennio conseguendo nell’85 la maturità in arte applicata, come disegnatore di architettura e arredamento. Dall’85 l’attività pittorica diventa sempre più costante e lo dimostrano le numerose partecipazioni in collettive di giovani e di affermati artisti. Nell’86 si iscrive al corso di pittura dell’Accademia di Belle Arti di Napoli, e frequenta le lezioni di storia dell’arte del critico Giorgio Di Genova. Non manca di partecipare alle mostre organizzate dall’Accademia. Poi, vince il primo premio della mostra – concorso “Premio Liburia” e conclude, con lode, gli studi. L’Associazione culturale ” AcomeArte” lo invita a esporre, nello spazio di Vico Ischitella alla Riviera di Chiaia, gli ultimi lavori della sua estesa produzione. Nunzio Figliolini con la pittura che oggi esprime ci ricorda Nicolas de Stael (Pietroburgo 1914 – Antibes 1955). Il preciso riferimento sorge perché le tele ad olio di Nunzio Figliolini riportano forme strutturate a cogliere l’impulso della materia e valenze delle luci proiettate dalle campiture estese in proporzioni reggimentale a blocco. Le composizioni di Nunzio Figliolini intrigano per la materia parzialmente densa, lavorata in stesure continue, e per l’accostamento dei colori, talvolta gridati e talvolta lirici, in una griglia d’onda geometrica. Le parzialità coloristiche inserite nel contesto visivo realizzato dal giovane operatore tendono ad assumere toni e significati incipienti da pungoli ottici. Nel colore si mutano densità emotive e si siglano convergenze umorali e su questo dettato nasce l’assunto pittorico dell’ artista che predilige afferrare le cromie di sviluppi contenuti per inserirle in bacini rettangolari o trapezoidali. Con questa logica lavorativa Nunzio Figliolini lavora la tela che per stesure continue e per intensità contenutistica vibra di equilibri non effimeri in forme ben studiate che quasi sembrano appoggiare un potenziale, possibile gioco d’incastri desueto. Tra accensioni di segno, ricerca di equilibrature cromatiche in assolute sperimentazioni e verifica continua dell’impatto si muove la mano energica e lucida di quest’operatore giovane, ma di preparata educazione visiva.
Maurizio Vitiello

Temperamento di artista. Nel caso di Nunzio Figliolini la frase è d’obbligo. Che poi possa confondersi con uno stereotipo che tocca l’arte solo di striscio, nel mare magnum dei luoghi comuni che imperversano nell’universo dei cosiddetti operatori culturali, è talmente possibile da apparire assiomatico. Il rischio c’è, specie per un giovane (Figliolini è nato a Napoli nel ’65) al quale giova poco il diploma di maestro d’arte e la maturità in arte applicata che gli consente, nell’85, di fregiarsi del titolo di disegnatore di architettura e arredamento. Che a che fare tutto questo con l’arte? E allora, per dare corpo e misura al “temperamento”, non bisogna cercarlo nelle mostre dell’Accademia, alle quali partecipa con altri giovani, e nella frequentazione di corsi di pittura e di lezioni di Storia delle arti impartite da Giorgio Di Genova. E, forse, neanche la laurea con 110 e lode conta più di tanto. Figliolini bisogna individuarlo nei movimenti vagamente imperfetti – sottilmente ambigui – del suo geometrismo astratto, che gioca con le forme e con gli spazi alternando misure e colori che rifiutano schemi e pretendono di variare l’ordine precostituito. Il ragazzo è spavaldo, poiché intuisce modi e tempi di vieto formalismo, nei quali si imbatte quotidianamente (ha lavorato come fotografo per la “Sistemi e tecnologie” ed ora lavora come progettista e arredatore da “MIM”), evitandone con cura i meccanismi e le trappole. E’ una lezione che ha imparato a sue spese. Di questa intuizione Hanno preso atto critici attenti: Michele Sovente, Marcello Venturoli, Maurizio Vitiello, Gaia Salvatori, Gino Grassi, e collezionisti alla ricerca di nuovi talenti. La partecipazione, dal 1982, a numerose collettive – tra cui vale la pena citare “terrariafuoco”1986, “Esperienze flegree”(1989), “Per il cuore”(1990) – ha fatto il resto. La recente personale ad “A come Arte” ha confermato la progressiva adesione dell’artista a un progetto creativo che tende a proporre nuove figurazioni. Una prossima mostra negli spazi napoletani di MIM è attesa con interesse, anche in previsione di un rilancio delle quotazioni ( attualmente attestate su 700 mila -1 milione e 500 mila lire per opere di media dimensione). Difficile far previsioni. Nunzio Figliolini è a un bivio, tra scelte facili ed effimere e progetti difficili e concreti. Su quest’ultimo versante pare ben disposto.
Mario Forgione

Il richiamo della Forma. Napoli è stata nel bene e nel male nel corso di questo secolo, un punto di riferimento continuo di fenomeni artistici avanguardistici e di fenomeni di squallida retroguardia, ma ha mantenuto sempre vivo un dibattito estetico e civile, che talvolta ha sviluppato situazioni positive ed altre volte è apparso fuori del tempo o contraddittorio. Come a dire che la città s’è mostrata, di volta in volta, accesamente progressista o consapevolmente reazionaria. Ma si deve anche ricordare che Emilio Notte, il più geniale didatta vissuto all’ombra del Vesuvio nel Novecento – e personalità che ha orientato, con il proprio talento e la propria capacità di farsi seguire, i più grossi artisti napoletani contemporanei (da Alfano, precocemente scomparso due anni fa , a Lippi, a Barisani, a De Stefano, a Persico, a Pisani, a Di Ruggiero, a molti altri) – riuscì con il proprio intervento didattico ad agire sul gusto un po’ demodè dei napoletani vissuti negli anni che seguirono il secondo conflitto mondiale, facendo mutare i modi di sentire ottocenteschi della grande massa degli artisti e del pubblico, che apparivano, in quei tempi, immutabili. La città è stata all’avanguardia nel primo dopoguerra con il Costruttivismo di Barisani; ha operato più tardi sul versante dell’ informale con lo stesso Barisani e con Del Pezzo; s’è inserita magnificamente nell’operazione concettuale con Alfano e con alcuni assai originali artisti esordienti, in gran parte allievi di quest’ultimo; viene oggi di nuovo fuori con pittori di recentissime leve, come Nunzio Figliolini,e non soltanto nello sviluppo delle ricerche analitiche. Ciò ci dimostra che esistono oggi a Napoli giovanissimi pittori e scultori che riescono a comunicare in maniera inedita, imponendosi non soltanto per la modernità della propria investigazione ma anche per la precoce maturità che mostrano nel porsi, in maniera artisticamente e culturalmente nuova, nei confronti della realtà. Uno di questi artisti saliti recentemente alla ribalta, è, come ho detto, Nunzio Figliolini, del quale ho ammirato opere assai valide, già qualche anno fa, in occasione della Mostra-concorso “Per il cuore”, svoltasi presso l’Accademia di Belle Arti in via Bellini. Gli artisti partecipanti alla manifestazione erano tutti allievi o diplomati di recente presso la gloriosa istituzione artistica. E, in questa occasione, Figliolini presentò dei dipinti di forte ed evidente impegno. Il giovane pittore, così come i suoi colleghi e coetanei, s’era messo al lavoro dopo aver ricevuto le necessarie informazioni scientifiche dalla equipe diretta dal professor Maurizio Cotrufo, il cardiochirurgo noto in Italia per i suoi brillanti interventi di trapianto cardiaco. Figliolini, allora allievo del professor Pisani, docente fra i più aggiornati dell’Accademia di via Bellini, presento alla Mostra-concorso,tra le altre, un opera di notevole originalità, “Vertigine”, mediante la quale dava un’ampia dimostrazione del proprio talento, riproponendo una pittura di superficie, in cui “le vaste campiture – così scrissi nella recensione critica – si aprivano a colori giocondi, spesso fuori dalla tradizione napoletana…”. Sono passati due anni da quell’evento e Figliolini è riuscito a portare avanti in maniera ineccepibile la propria evoluzione artistica, maturando un personale ed assai gradevole discorso sulla pittura e approdando ad “Neo-costruttivismo”, in cui la precedente ricerca astratta si spiega verso un incontro assai felice con un naturalismo nuovo di zecca. Ho chiesto al giovanissimo artista se si fosse orientato verso questo filone investigativo seguendo le mosse dell’ultimo Barisani, un grande artista giunto alle medesime conclusioni compositive dopo un travaglio ultraquarantennale: ma Figliolini mi ha risposto di essere giunto all’ attuale sbocco creativo, seguendo una propria strada. Il pittore mi ha spiegato in che modo è riuscito ad approdare al personalissimo modulo, lasciando comprendere che sente imperiosa, dentro di sé, l’esigenza di puntare ad un operazione in cui il dato razionalistico preesistente(proprio dell’astrazione) si armonizzi con il lirismo della libera creatività. Le opere che Figliolini espone in questa prima e assai importante mostra personale, si dipartono, come ho accennato, da una premessa neocostruttivistica, per giungere poi, attraverso una evoluzione formale ma principalmente psicologica, ad una posizione assai sentita in cui la linea curva diventa forza propulsiva essenziale e premessa di uno straordinario equilibrio pittorico-ritmico, in cui l’elemento dinamico gioca un ruolo non secondario. Talchè il pittore manifesta, attraverso una vasta gamma di tonalità (ora accese, ora tenui, ora più decisive, ora vibranti di luce) una propria rigorosa analisi del vissuto, in cui le forme sembrano incontrarsi e respingersi, per avvicinarsi di nuovo in un moto spontaneo ed incessante. Occorre aggiungere che il giovanissimo artista non si abbandona mai a slanci onirici o semplicemente surreali. Figliolini, insomma, non delega in nessun momento a chicchessia, neppure al suo “io” riflesso, il sacrosanto diritto alla progettualità. Nè l’esordiente pittore si lascia trasportare verso orizzonti liciniani o post-nucleari. Il pittore, in sostanza, non lascia mai il timone della propria ricerca, né sente il bisogno di dirigersi verso il mare aperto dell’irrazionalità. E il lirismo, è vero, la molla che spinge il gesto artistico di Figliolini, ma, mi pare evidente che il pittore non rinuncia a nessuna delle possibilità d’indagine. Figliolini respinge, insomma, (come i più vivi artisti della propria generazione) il richiamo dell’inconscio, un richiamo abbacinante che aveva abbagliato per decenni i talenti più agguerriti e più inquieti delle generazioni di pittori nate dopo l’esplosione delle grandi avanguardie del secolo.
Gino Grassi

Nunzio Figliolini Ha appena ventuno anni ma la sua pittura appare sorretta da un senso del colore, un’abilità compositiva e da un controllo dello spazio non abituali alla sua età. Ciò che mette in moto il suo mondo fantastico, delicato e netto come lo spettacolo della natura attraverso l’occhio assorto di un architetto proteso a tradurre i volumi in palpitanti colori, è la consapevolezza che la realtà è molto più sfuggente di quanto appaia. Di conseguenza, l’immagine pittorica ne è partecipe, si, ma in termini sincopati: la visione del quadro si presenta in sequenza, lo spazio è fatto di rientranze e cavità, le forme hanno qualcosa di cristallizzato ma i colori – l’arancio, il giallo limone, l’azzurro, il viola, soprattutto – rimandano a sensazioni e situazioni in movimento. Questi lavori, diciamocelo senza mezzi termini, risentono della inquietudine più attiva di una certo tipo di pittura nuova che, però, rinuncia a bruciare la sua ansia di vita in un rogo cromatico e gestuale del tutto estemporaneo. Il riflettere sul mondo che muta e scivola via, addensando zone opache, profili controvento, scie torbide e luminose, equivale per Figliolini a creare sulla tela un intreccio di pieni e di vuoti, di apparizioni illusorie e di figure acuminate che sono delimitate quasi sempre da due entità geometriche: il cerchio e la spirale. L’impianto generale, allora, lascia lo spettatore un poco interdetto e allarmato. Le immagini di Figliolini, infatti, svagate e ossessive come sono, si servono di cose viste, di cose sospettate, di cose temute, di cose lungamente accarezzate e nascostamente godute, per poi proiettarsi in una sospensione interminabile. Cosicché, quello che sembrava essere amor di geometria finisce con il rivelarsi interesse e combattuto fascino per l’ignoto.
Michele Sovente

Nunzio Figliolini che si avvale di un certo nitore di immagini fra geometria e fantasia, ora con recuperi della tradizione avanguardistica, ora più volto verso il collage o decollage “povero”.
Marcello Venturoli

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