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STORIA. MISENO UNA TERRAZZA SUL GOLFO

Ha la sagoma di una piramide tronca. Eppure è la costola di un antichissimo cratere, così come lo sono le tante cinte che nei Campi si alternano a colline.
La stessa conformazione naturale favoriva la creazione di un porto e quindi la presenza ella potente flotta romana. Doppi moli e gallerie scavate nei due promontori (Punta Pennata e Punta Sarparella) consentivano di evitare l’insabbiamento del porto di Misenum formato, come oggi, da due bacini naturali, quello interno, chiamato Maremorto, su cui sorgevano i cantieri navali e utilizzato come bacino di allestimento e riparazione delle navi, e l’altro esterno come porto vero e proprio, per lo stazionamento delle liburne, triremi, quadriremi e quinqueremi.La costruzione del porto risale al 38 a.C. e i due bacini erano collegati da un canale sul quale era

26foto1[1]collocato un ponte voluto da Augusto e, poi, restaurato nel 159 d.C. Serie di piloni (pilae) uniti da arcate proteggevano i due moli. La maggiore preoccupazione doveva essere, infatti, l’insabbiamento del canale di comunicazione così come, del resto, era avvenuto nel canale di collegamento tra l’Averno ed il Lucrino, motivo che spinse l’imperatore Augusto a trasferire la flotta dal Porto Giulio al porto di Miseno. La stessa presenza di toponimi (Miseno=sinus militum e Miliscola=schola mifitum e si vuole che il toponimo derivasse dall’omonimo trombettiere di Enea, qui sepolto) sta ad indicare il ruolo di questa località e sino al V sec. d.C.Sul promontorio di Miseno sorgeva la residenza del praefectus classis (il comandante della flotta). Del nucleo riferito agli impianti portuali facevano parte: i fari, gli alloggi per gli ufficiali, gli impianti idrici, gli arsenali e i depositi.La parte più propriamente urbana di Miseno era costituita dal Teatro, dal Sacello degli Augustali, dedicato al culto imperiale e recentemente venuto alla luce (tre ambienti così suddivisi: il centrale, absidato su podio e un pronao tetrastilo), dalle Terme le cui strutture vengono fatte risalire dal I al III sec. d.C. Ville residenziali sorgevano sull’isoletta di Punta Pennata (resti della villa di Lucullo o del praetorium misenate, ossia del comandante delle legioni).Resti di villa attribuita a Caio Mario sorgono nei pressi della grotta della Dragonara. Al di fuori del nucleo centrale sorgeva la necropoli che si estendeva lungo la strada che da Misenum portava a Cuma. Visibili, specie dal mare, grotte scavate nel tufo coperte a volta con pavimentazione e rivestimento in cocciopesto. Ambienti, questi, che vengono ritenuti come “peschiere”, ambienti per la piscicoltura. Resti di nicchie sono visibili lungo gran parte della costa misenate ed in particolare alla Punta Sarparella, ove sono visibili diversi ambienti con strutture in opera reticolata, rivestiti e pavimentati in cocciopesto.

Non è esclusa l’appartenenza di questo complesso alla residenza del prefetto della flotta.
Ancora resti appartenenti a ville marittime sorgono lungo la costa, come quelli della “pilae” nei pressi di Punta Pennata, e resti di una grossa struttura nei pressi della località chiamata “Micalasso”. Un’ampia grotta scavata nella roccia tufacea è quella visibile (dal mare) alla punta estrema di Capo Miseno: larga 15 m. e alta 7 m. presenta una nicchia larga 5 m., alta 4 m.E’ chiamata “Grotta Ninfeo” ed è collocabile tra il I e il II sec. d.c.Non finisce qui, per il visitatore, l’ammirazione per così tanta ricchezza e testimonianza antica. Un panorama stupendo è godibile dall’altura di Capo Miseno e da qualsiasi punto di Monte di Procida. Questa continua presenza di resti di ville e di strutture antiche conferma come, già prima che Miseno venisse trasformata in porto e colonia militare, tutte le alture tra Bacoli e la stessa Miseno erano occupate da ville marittime.
26foto2[1] La lunga serie di sepolcri e colombari rinvenuti tra Cappella e Maremorto, con la scoperta di oltre 400 iscrizioni riferite ai marinai della flotta misenate e ai molti nomi di navi quasi tutte dedicate a divinità, ha consentito una più ampia conoscenza della colonia militare di Miseno. Così Amedeo Maiuri sull’origine di questa località, permeata di virgiliana memoria: “Il Capo Miseno, il Monte di Procida, le alture di bassa duna sabbiosa del litorale, venivano a formare con una profonda insenatura informa di duplice bacino, il più bel porto naturale che si avesse su tutta la costa della Campania; un bacino estemo difeso anticamente dalla gettata di due moli all’altezza di Punta Pennata, ed usato ancora come porto militare nella sua insenatura più interna, dopo la Punta della Sarparella; e un bacino interno che, comunicando con il primo con un largo canale, doveva costituire il più sicuro e comodo rifugio della flotta nelle lunghe soste invernali e il cantiere di raddobbo e di allestimento delle navi. Insabbiato ormai da un secolare interramento, esso appare più simile ad uno stagno che ad un pollo e da ciò il suo nome di Maremorto che lo accomuna, nonostante la profondità diversa dei luoghi, alla stagnante pesantezza del Lago d’Averno; in luogo del canale navigabile fra i due bacini e del pons ligneus che doveva sopravalicarlo, uno stretto ponte arcuato in muratura riunisce ora le due ripe, e in luogo degli arsenali e delle alberature di navi cbe dovevano animare tutto quello specchio d’acqua, una bassa ripa acquitrinosa all’intorno ed emergenti dallo stagno, le testate dei pali per la classica coltivazione delle ostriche” (“I Campi Flegrei”).Difficile oggi scorgere i resti degli arsenali e delle tante caserme che pur dovevano sorgere nella zona. Di Miliscola (detta anche Miniscola), di chiara derivazione latina, area destinata a esercitazione dei militi della flotta, si conserva solo il nome, ricavato da un’iscrizione del IV sec. e in onore del comandante Flavio Mariano, con il titolo “Schola armatur (arum)”.Anche la “Grotta della Dragonara”, con 12 pilastri, alla base del Miseno, serviva a grande serbatoio idrico per i bisogni della flotta.Torregaveta, con la sua spiaggia, introduce ad un’altra località legata a mito e leggende dei Campi Flegrei.Allo scopo di difendere l’intero litorale del Reame dagli sbarchi dei pirati “barbareschi, nel XVI sec., per ordine dell’imperatore Carlo V, furono costruite 366 torri “di avviso”. Quella di Gaveta fu costruita nel 1532, così quelle di Patria e di Cappella. La sua derivazione (Torre della Gaveta o Torre di Gaveta) sarebbe propriamente dialettale (gaveta da ‘avuta, cioè alta), ossia torre alta. Alcuni, però, fanno derivare il nome della località dai resti della famosa villa del console Servilio Vatia, detto l’Isaurico, uomo ricchissimo e soldato valoroso, ritiratosi dopo le follie e le crudeltà dell’imperatore Tiberio, così come lo descrive Seneca ( Epistola LVI). Va pure ricordato la denominazione data alla spiaggia di Torregaveta, di “for’ ‘auletta” cioè oltre la goletta, località ove un tempo approdavano le golette, navi a due alberi.Da ricordare, infine, altre torri successivamente elevate: la Torre Grande, la Torre Piccola di Miseno e la Torre del Fumo contro le incursioni barbaresche.

Mario Sirpettino
(da “I Campi Flegrei-Guida Storica” Napoli:
Edizioni Scientifiche Italiane,1999)

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