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Conoscere la storia dei propri luoghi, LA VILLA BAIANA

BACOLI. Nella villa c’è profumo d’incenso. Fanciulli dai capelli dorati ungono i piedi dei commensali ed altro olio versano nelle lucerne sparse intorno al triclinio. Sotto i portici in marmo gli schiavi con fiaccole illuminano a giorno un vasto specchio di mare. “Villa maritima” o, come oggi suoi definirsi, villa a mare con tanto di discesa. Sull’ampia e lunga terrazza, cioè “ambulatio per una passeggiata dopo il prandium dopo il pasto, e che Celso suggeriva come la più igienica e salutare, il padrone di casa, un ricco mercante che qui preferiva gli otia ai pettegolezzi della Roma imperiale, se ne sta a godere la felix illa ac beata amoenitas che Baia offre.Mentre sulla mensa fanno ben mostra, prima che il vero banchetto inizi, tordi di siligine imbottiti di uva passa, carne di oca e di maiale, ostriche e tanto altro definito antipasto per l’anfitrione che grida: “E’ vita il vino. E questo che offro è Opimiano garantito” (Petronio – Satyricon 34-7) Una nube di caldo vapore, che cola da una vicina sorgente, ove s’affollano liberti per bagni di sudore (sudationes), avvolge la villa sontuosa e stupenda. Così respira questa terra. Coi fumi di zolfo che ti entrano nei polmoni, che li respiri con il profumo dei mirti. “Perciò entrammo nel bagno e, bollenti di sudore, passammo in un attimo al frigidario” (Petronio – Satyricon – 28-2). La divinità protegge le acque termali: quelle posidiane, dal nome di un liberto di Claudio Cesare, riescono addirittura a cuocere i cibi, anche i più duri; quelle di Licinio Crasso fumigano in mare; quelle miste e tiepide riempiono le piscine delle ville baiane. Nel frigidarium (bagni freddi) e nel calidarium (bagni caldi), due ambienti divisi dal tepidarium, stanza intermedia per impedire la dispersione dei calore, si attarda l’ancella che s’avvia, poi, verso il labrum (bacino di marmo e rotondo). Una folla di statue marmoree dà forma e splendore alla villa munifica, opera magnifica, con abbondanza di marmo africano e di marmo bianco. E al centro, intorno ad una grande vasca di marmo, un letto da mensa in marmo (stibadium). “I piatti pesanti con le pietanze venivano posti sul bordo della vasca, le salse e i cibi più leggeri erano fatti galleggiare sull’acqua in piccole barchette ed in salsiere a forma di uccelli acquatici” (Bernard Andrease – Baia – Il ninfeo imperiale sommerso di Punta Epitaffio”). Dal peristilio la visione di un grande mosaico pavimentale con la scena di cattura di animali e pitture parietali. Sarà del grande aristocratico Vettius Agorius o del potente e astuto Nicomachus Flavianus, genero di Simmaco? 0 è forse villa senatoria, una volta che dal vestibolo una voce esorta i senatori ad abbandonare Puteoli e la corrotta Baia e a tornare a Roma? E come nella pompeiana Casa dei Vettii, anche qui le divinità protettrici, come i Penates (dispensa dei viveri e della casa), Lares, protettrici della terra.La tavola è imbandita. Nelle giare (dolia) il garum, o liquamen, salsa ricavata dagli intestini di pesce e che costava “quanto costano i buoni profumi” (Plinio – Naturalis Historia, XIX). Sulla tavola ricca – e qui siamo in pieno clima senatoriale – carne d’anitra e colata di miele, “dono celeste” (Virgilio – Georgiche IV, 1), e poi coppe del divino Falerno. La villa baiana, già in età repubblicana, è il massimo dell’ambizione, il sogno che imperatori, ricchi mercanti, banchieri, nipoti e amici di senatori e potenti di Roma vagheggiano. La pelle di questo braccio di terra, che Orazio esalta come “nessun golfo risplende più dell’amena Baia” (Epistole, I, I, 83) e che fa dire a Cicerone “i piaceri, gli amori, gli adulteri, nascono e vivono a Baia” (Pro Coelio, 15) e così a Stazio “Baia dalle spiagge dolcissime” (Silvae III, 5, 97), trasuda acqua caldissima e vapori che il corpo curano e le malattie eliminano. La villa diventa un tutt’uno con l’ambiente circostante, con le radici vaporose delle rive baiane “rese feconde da tiepide acque” (Stazio, op. cit.) e si caratterizza come esempio di costruzione a terrazza e degradante verso il mare. L’amenità del luogo, la bellezza esaltante dei “golfo” e soprattutto la ricchezza terapeutica di queste acque fecero di Baia “dorata spiaggia della Beata Venere e incantevole dono della superba natura” (Marziale XI, 80).

Baia Sommersa: mosaico nella villa

E tante sono le ville sparse tra Miseno, Lucrino, Baia e Puteoli (oggi Pozzuoli). Una specie di Porto Cervo o di Cannes dell’antichità, con gli ingredienti del lusso, dell’intrigo di corte, dell’ozio (otium), del piacere, degli affari che certamente qui si consumavano con tranquillità e senza i condizionamenti di una Roma pettegola ed incline alle lotte intestine. Così (anche) duemila anni fa… “Trascorremmo le vancanze estive, a Pozzuoli e Baia, tra divertimenti e giochi, conversazioni letterarie” (Ennio – Noctes Atticae – XVIII, 5). Dalla vicina silva gallinaria, che doveva estendersi al di là delle sacre mura di Cuma, oltre a fornire di gran legname i cantieri navali di Agrippa e della potente flotta misenate, si leva il profumo dei mirti, che avvolge le marmoree ville. Piscine, ambienti per bagni caldi (calidaríum e tepidarium) e per saune (laconica), e persino un ingegnoso sistema per captare le acque termali, con un’intercapedine nel pavimento e nelle pareti per consentire il passaggio dell’acqua calda, conservandone così il calore. Nasce, così, il riscaldamento domestico senza crisi energetica. Sergio Orata, il re dell’ostricoltura, geniale ostricoltore e ottimo inventore della riproduzione delle ostriche su tegole nel Lucrino, sfrutterà il sistema delle acque calde. La casa signorile, a differenza della semplice domus, ha alti vestiboli regali, atri e peristili amplissimi, giardini e portici di notevole ampiezza, lussuosi e imponenti; ha inoltre biblioteche, pinacoteche, basiliche, la cui magnificenza può stare a pari delle opere pubbliche, perché nelle loro case si tengono spesso sia consigli pubblici sia processi e arbitrati privati.

Esistevano quartieri separati per gli schiavi (Vitruvio, VI, 5-2). Vi abitano l’aristocrazia locale, proprietari terrieri, banchieri e pubblicani, oratori, ricchi mercanti e uomini potenti della vita politica romana. Si ampia il peristilio con ambienti di soggiorno (diaetae e exedrae) e di ricevimento (oeci), con sale da pranzo (triclinia) e con cubicoli. E qui prevalgono il mosaico ed il marmo: ad imitazione delle pitture di epoca claudio-neroniana (41-68 d.C.), scene che si rifanno al mito di Teseo contro il Minotauro, al volo di Dedalo e la caduta di Icaro, e, comunque, a modelli ellenistici, appaiono sulle ampie pareti degli ambienti della villa. A due passi, poi, templi con enormi statue, come quella bianca bellissima di Venere, accanto alla villa di Giulio Cesare. Chiameranno aquae Cumanae le sue fonti termali ed il territorio resterà in possesso dei Cumani per molto tempo. Da Roma scenderà la corte dei celebre medico Asclepiade per esaltare la termoterapia; un altro medico, Celso, predicherà l’efficacia delle sudationes, mentre, in epoca augustea, altro famoso medico, Antonio Musa, userà un metodo nuovo nelle cure termali, la cosidetta idroterapia fredda, con il brusco passaggio dei bagnanti dal sudatorio al frigidario. In questo universo surriscaldato, mentre sorgono complessi termali grandiosi, le ville e le terme prolificano, tanto che M. Licinio Crasso, console nel 64 d.C., ne costruirà una molto grande e su “un’isola artificiale’, da dove “vedevasi fumigare tra i flutti una polla termale di elevatissima temperatura”, (Plinio – Nat. Hist. XXXI, 2). La terra di quiete, di otium, di cura e di piaceri. Alla propria madre Mamaea l’imperatore Severo Alessandro (235 d.C.) donerà un palatium cum stagno in Baiano, un enorme edificio termale con annessa villa per piacevole soggiorno. In praedio cumano, una grande villa – podere, il Trimalcione di Petronio dirà che, a parte bimbi e bimbe nati sono stati trasferiti dall’aia in granaio 500.000 moggi di frumento e aggiogati 500 buoi, e messo in croce lo schiavo Mitridate per aver bestemmiato il genio dei nostro Gaio (Trimalcione). Persino Cicerone, che qui ha la sua “villa sul Lucrino”, ricorda all’amico Attico la serenità e l’amenità del luogo. Nerone amava lasciarsi andare a sfrenati bagordi, mentre Domizia, badava ad abbellire e curare i suoi vivai di pesci, certo, senza per questo superare d’ingegno il ricco e astuto Orata. Seneca griderà che Baia è “albergo di tutti i vizi” perché c’è rilassatezza dei costumi, perché il danaro corrompe efebi e giovanetti, perché è “perigliosa’, è corrotta. Vi arriverà, e spesso, il banchiere puteolano M. Cluvio, incline a prestar soldi a molte città asiatiche, ma soprattutto per allacciare rapporti di amicizia con quella Roma che amava villeggiare a Baia e che qui cercava tranquillità e divertimento. E a Cicerone lascerà la sua villa di Puteoli, valore un milione di sesterzi. La villa imperiale (palatium) – specie tra il I e IlI sec. d.C. – si caratterizza nella sua monumentalità e vastità e, soprattutto, nella fastosa decorazione. E mentre consuma il suo matricidio, contemplando il corpo inanimato di Agrippina e godendosi la veduta del golfo dalla sua villa “in posizione molto elevata e che spazia sui golfi distesi ai suoi piedi”, Nerone avverte inquietudine, pensando ai “vergognosi disordini” di Roma. La bellezza della villa di Pisone, ove Cesare amava recarsi spesso e godervi, così i bagni e i banchetti, senza le guardie del corpo, riusciva a incantare persino i mercanti di oggetti di lusso arabi fenici, egiziani e siriaci. Baia, in effetti, non fu mai una città autonoma, ma un vicus di Cuma ed un insieme di ville e maestosi complessi termali. Tutto brillerà, come luce di Venere, e tutto apparirà come terra senza la paura della notte. Riempiranno anfore e coppe di quel vino che “ha dato alla testa” (vinus in cerebrum abiit), e come esclamerà Trimalcione “qui non c’è niente di meglio che andar diritto dal letto alla tavola” (op. cit. 41 -11). La ricca aristocrazia e gli stessi dignitari romani faranno della loro villa un simbolo di benessere, di sontuosità; sicché la vicinanza dei centri dì intenso commercio di Puteoli e di Capua ne favorirà lo sviluppo. Basti pensare al ruolo commerciale che lo scalo puteolano ebbe nell’antichità per comprendere come fosse agevole e utile possedere una villa marittima a poca distanza dal centro urbano. Un attento studioso delle ville baiane, J. H. D’Arms, sostiene che “membri della famiglia imperiale avevano interessi economici e di lucro. Cicerone lesse, scrisse e banchettò a base di molluschi durante periodi di riposo nel suo Cumanum ed Ortensio allevò pesci per diletto nel suo vivaio a Bauli”. Tiberio, trastullandosi tra gli otia di Baia e la sua villa di Capri, architetterà, per salvare quel che Cesare Augusto era riuscito a realizzare, il progetto di una banca pubblica con cento milioni di sesterzi e per concedere finanziamenti senza interessi, ovviamente a patti che il debitore, per non cadere nello strozzinaggio degli usurai, offrisse, come garanzia allo Stato, ipoteca sui terreni dei valore doppio della somma avuta in prestito. Così ritornerà la fiducia. Così le sorti della finanza passano per gli umori, le riflessioni ed i bagni di Baia.
Mario Sirpettino

fonte wwww.infocampiflegrei.it

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