Se ci salveremo dalla terribile profezia Maya, potrebbe essere un supervulcano a provocare la fine del mondo? Negli Usa è già partito il tam-tam che rischia di appassionare l’opinione pubblica ben oltre la calura di quest’estate 2012. A provocare nuove suggestioni catastrofiste ci ha pensato la notizia che dalla fine di luglio sono cominciate le perforazioni ai Campi Flegrei, nei pressi di Napoli. Si tratta di un progetto, il Deep Drilling Project, coordinato Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia) e da Ulrich Harms del German Research Centre for Geosciences di Postdam, che esplora il supervulcano campano, una grande caldera estesa nei Campi Flegrei. Questo tipo di strutture, non più di una decina nel mondo, sono individuate a livello del suolo, non sono associabili al collasso di precedenti edifici vulcanici e dovrebbero essere generate da un punto caldo che è situato in profondità sotto di esse. E soprattutto fino ad ora si sono rivelate assolutamente innocue, anche se nelle aree circostanti le caldere si trovano chiare tracce geologiche di imponenti eruzioni passate.
Le perforazioni del progetto scientifico italo-tedesco, finanziato dal Consorzio internazionale per le perforazioni profonde continentali, sono all’inizio, ma stanno già provocando più di un allarmismo. Se, infatti, per il momento si è scavato fino a circa 200 metri di profondità, si prevede di arrivare entro due anni a quasi 4 chilometri, proprio all’altezza della camera magmatica. “L’obiettivo è monitorare e studiare questo vulcano per mitigare il rischio e conoscere dall’interno com’è strutturato e come funziona un supervulcano – spiega il coordinatore del progetto, Giuseppe De Natale, dell’Osservatorio Vesuviano dell’Ingv in un’intervista all’agenzia di stampa Reuters che ha fatto il giro del mondo – in modo da avere le informazioni necessarie a interpretare i segnali che ci arrivano e di riuscire a prevenire una eventuale eruzione”. Oltre alla prevenzione, in una zona tra l’altro densamente popolata da quasi 3 milioni di persone, si guarda anche a utilizzare i numerosi dati raccolti per valutare un possibile sfruttamento dell’energia geotermica grazie al calore raccolto dai fluidi cosiddetti ‘supercritici’, a temperature cioè ben maggiori di 400 gradi. La costante disponibilità dei dati su Internet dovrebbe permettere ai centri di ricerca sparsi nel mondo di cooperare in maniera rapida ed efficace.
L’alta tecnologia che supporta il Deep Drilling Project e i tempi frazionati della ricerca non tranquillizzano i troppo spesso suscettibili animi americani. Non basta, infatti, l’uso delle onde sonore prodotte dalla trivella per realizzare una mappa 3D delle viscere del supervulcano. Non è sufficiente l’assicurazione che, quando ad ottobre di quest’anno dovrebbe essere completato il primo pozzo pilota di 500 metri, ci sarà una pausa di riflessione prima di proseguire con un secondo pozzo fino a circa 3500 metri. I media a stelle e strisce ormai parlano apertamente di giorno del giudizio e di rischio di morte per milioni di persone. L’allarme corre veloce soprattutto sul web con in testa il sito dell’Huffington Post. Insomma una possibile fine del mondo sembra vicina. Non serve ricordare che già negli anni ‘70 e ‘80, in pieno bradisismo, ai Campi Flegrei ci furono perforazioni da parte di Enel e Agip, anche piuttosto profonde, per scopi geotermici. Certamente non aiuta nemmeno la perplessità di alcuni membri della comunità scientifica e dei comitati civici di protesta che già nel 2010 bloccarono l’avvio dei lavori di perforazione. “Non c’è nessuna utilità nel trivellare i Campi Flegrei – afferma Benedetto De Vivo, docente di Geochimica ambientale all’Università Federico II di Napoli – il rischio legato alla popolazione esposta è enorme. Queste operazioni non si fanno nelle città, non c’è nessun rapporto costo-beneficio che giustifichi il vantaggio presunto dell’operazione, quale esso sia”.
Magari hanno ragione i media americani ad essere così preoccupati da una possibile eruzione provocata dalla perforazioni. Del resto i Campi Flegrei non sono lontani da Pompei, teatro nel 79 d.C. di uno dei disastri geologici più famosi della storia con circa 2mila morti. E tra l’altro mancano pochi giorni all’anniversario di quella terribile eruzione che dovrebbe essere avvenuta, secondo Plinio il giovane che ha descritto l’evento, il 24 agosto. Come se non bastasse gli Usa hanno in casa uno dei supervulcani più noti: quello di Yellowstone, una spettacolare successione di supercaldere che si sono formate nel corso di 15 milioni di anni sopra un pennacchio di magma proveniente dal mantello. Nel 2005 un documentario della Bbc effettuò una simulazione computerizzata degli effetti di un’eruzione proprio nei pressi del famoso Parco americano: gli interi Stati Uniti coperti con uno strato di ceneri vulcaniche di almeno 1 cm, la distruzione totale di qualsiasi cosa si trovasse nelle vicinanze e l’uccisione di piante e animali. Se poi ci mettiamo anche il fatto che dall’altra parte dell’Oceano sono da sempre maestri nel riempire le sale cinematografiche con film catastrofici, il quadro è completo. Chi non ricorda “Armageddon”, una pellicola di grande successo che ormai nel 1998 parlava di giudizio finale e si ispirava all’Apocalisse? Quella volta gli uomini si salvarono dall’impatto con un pericoloso asteroide. Riusciremo ad evitare anche le bizze dei supervulcani?
da itfinanceyahoo.com