Vedi un tizio che s’immerge, maschera e pinne, per ammirare sul fondo vecchie pietre spezzate, piuttosto che andare a caccia di cernie brune. Un altro che impugna la digitale subacquea davanti a un mosaico mezzo coperto dalle alghe, e nel frattempo non s’accorge del polpo che danza invitante a un palmo dal suo naso.
SOMMOZZATORI – Scene poco usuali nei nostri mari, almeno fino a qualche tempo fa. Ma una sorta di rivoluzione copernicana nelle abitudini di molti sommozzatori partenopei sta avvenendo davvero intorno ai tesori del Parco archeologico sommerso di Baia: i diving center che operano sulle sponde del sito (una decina) sono infatti proprio quelli che in Campania stanno registrando una significativa crescita di iscritti. Uno di questi — il Centro Sub Campi Flegrei — è stato addirittura premiato dalla Padi (Professional Association of Diving Instructors) per il notevole incremento di brevetti rilasciati nel 2011.
DIVING IN DIFESA DEL PATRIMONIO – Insomma, prima era la passione per il mare che consentiva di scoprire, spesso per caso, le ricchezze archeologiche sommerse. Ora sembra stia accadendo esattamente il contrario. «I diving hanno imparato che con il patrimonio si genera ricchezza, almeno da queste parti», spiega Michele Stefanile, ricercatore responsabile del laboratorio di archeosub all’Istituto Orientale di Napoli. «Sono loro i primi a occuparsi della sorveglianza e ad allontanare subito i diportisti che entrano nelle zone interdette per gettar l’ancora sul sito».
INIZIATIVA PER TUTTI – Il Parco di Baia, istituito nel 2002, attualmente copre un’area di oltre 177 ettari ed è prevista una sua espansione. Dagli esperti è considerato un patrimonio unico al mondo per la quantità e l’importanza delle strutture conservate dal mare. Rispetto al passato, i subacquei-visitatori di oggi non sono più concentrati nel weekend ma distribuiti lungo tutta la settimana, estate e inverno. Anche i principianti possono facilmente immergersi: per scendere tra i reperti a pochi metri dal pelo dell’acqua, infatti, non c’è bisogno neanche della consueta «tappa di decompressione», necessaria invece per chi frequenta le alte profondità. I percorsi sono tanti e tutti di grande fascino. Si può ad esempio partire dai piloni di protezione dell’antico Portus Julius, tra i quali sono attive le fumarole di origine vulcanica, per addentrarsi poi nel giardino e nei corridoi della Villa dei Pisoni, del I secolo. E dopo una visitina alle taverne del Protiro, pinneggiando lungo i pavimenti quasi intatti di piastrelle bianche e nere, ci si può rilassare nel complesso termale, tra le statue del Ninfeo.
CULTURA E IMPRENDITORIA – Chi ci è stato, racconta che lì sotto si nasconde un mondo incantato, una risorsa di emozioni praticamente inesauribile. Tanto che i centri specializzati in immersioni stanno puntando decisamente sull’archeologia sommersa. Vengono sostituite le barche e le attrezzature, si organizzato eventi e avviati rapporti di collaborazione con archeologi, fotografi, guide e istruttori. Fioriscono le iniziative che coniugano cultura e piccola imprenditoria, ma restano le difficoltà per assicurare la conservazione dei reperti: «Se è un compito duro salvare Pompei — aggiunge Stefanile — si può immaginare come sia complicato tener traccia dei danni e del deterioramento delle strutture sommerse, esposte all’azione del mare e degli organismi marini. Senza contare le intrusioni, i danneggiamenti e i furti.
fonte www.corriere delo mezzogiorno.it