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TONY SERVILLO recita Michele Sovente e Mimmo Borrelli al teatro Argentina di Roma (Veronica Meddi)

SERVILLO LEGGE NAPOLI
VISTO CON GLI OCCHI DI LUCIANA VIVIANI
di VERONICA MEDDI

Servillo legge Napoli non è la verità!
Incontriamo, per caso o per destino, domenica 19 febbraio 2012, nel palchetto n°18 del Teatro Argentina di Roma, Luciana Viviani, figlia di Raffaele Viviani, attore e drammaturgo napoletano tra i più importanti nel panorama del ‘900 italiano. Entrambe, per diversi motivi, che emozionalmente sembrano accomunarci, aspettiamo l’inizio di quello che si presta ad essere uno spettacolo imperdibile Servillo legge Napoli.
Nello spazio che passa tra l’attesa e l’inizio, Luciana mi racconta un aneddoto divertente che illustra la panoramica di come si viveva un tempo, di quando i giochi erano puri e il concetto di famiglia era ancora struttura per forti basi sociali.
Il teatro e la vita ci hanno regalato un momento di ‘vissuto’ di alto valore. E lo spettacolo ha avuto inizio prima ancora dell’inizio stesso.

Ricordo di quando io, insieme ai miei fratelli, preparavamo le opere liriche e le opere di prosa per far ridere nostro padre; nel mese d’agosto lui tornava a casa dopo una lunga tournée. Io ero la terza di quattro fratelli: il primo, Vittorio, la seconda, Ivonne, la terza io e il quarto Gaetano. Con la regia di Vittorio, il più grande, io facevo il soprano, Ivonne faceva il contralto e il coro e il piccolino faceva il coro. Ci preparavamo tutto l’anno e ad agosto, in presenza e in onore di nostro padre e di alcuni amici invitati, nel giardino della nostra casa di Napoli ci esibivamo. Ci facevamo i costumi, studiavamo tutto l’anno, finché il giorno della rappresentazione mettevamo in scena lo spettacolo. Erano tutte opere liriche, persino l’Aida! Nostro padre si divertiva come un pazzo. Mio fratello grande era appassionato di lirica, aveva 13 anni, Ivonne ne aveva 11, io 9, e il piccolo 7. E questo era il divertimento di noi ragazzi. La televisione non c’era e la sera leggevamo a turno e a voce alta L’Orlando furioso. Credo di saperlo ancora a memoria.
Arrivato a Roma al Teatro Argentina dal 14 al 26 febbraio l’acclamato solo dell’attore dedicato alla sua Napoli.
Una sorprendente e emozionante partitura scenica delle voci e delle visioni di una città/universo dal Novecento ad oggi.
Tra passato e presente, nel corso di settanta intensi minuti, Toni Servillo dà voce alle parole e alle visioni di Salvatore Di Giacomo (Lassammo Fa’ Dio); di Eduardo (Vincenzo De Pretore); di Ferdinando Russo (A Madonna d’e’ mandarine e E’ sfogliatelle); di Raffaele Viviani (Fravecature e Primitivamente); di Mimmo Borrelli (A Sciaveca e Napule); di Enzo Moscato (Litoranea); di Maurizio De Giovanni (‘O vecchio sott’ o ponte); di Giuseppe Montesano (Sogno napoletano), fino al conclusivo tributo immancabile a Totò con ‘A Livella.
Una selezione attenta di pagine e di testi narranti e evocativi che Servillo ha scelto perché da essi “emerge una lingua viva nel tempo, materna ed esperienziale, che fa diventare le battute, espressione, gesto, corpo”.
Ed è proprio per questo che Servillo legge Napoli non è la verità.
‘Legge’ è riduttivo, il corpo, la voce, i respiri di Toni inscenano Napoli e la fanno rivivere, tra grida strazianti, tra dolori fraudolenti, tra speranze che sanno un po’ di santità e un po’ di malavita.
Ironia, autoironia, condanna e bestemmie, a colpi di ‘mannaggia’ e di ‘preghiere’.
L’attore non scade mai in ripetizioni mnemoniche, quando per memoria si intende solo un esercizio di ripetizione. È memoria però di tutto ciò che dipinge Napoli, raccontata, amata, odiata e vissuta da tutti i grandi autori che l’hanno narrata con l’unico colore che è la poesia, poesia sporca e sporcata, perfetta in tutte le sue imperfezioni.
Sul palco succede qualcosa. Che cosa c’è lì? Tutta quella vita brulicante, angeli, santi, poveri cristiani, fame, mare, musica, morte, passione, peccato, cielo, vermi, pesci, cani, vicoli, terra, montagne, mandarini, fango, luce, ballo, corpi, mariuoli, sangue, sogni, Apocalisse.
Un uomo in scena che sembra una folla, un mondo. È la magia del teatro!
Toni parte dal Paradiso, passa per il Purgatorio e arriva all’Inferno: un’ascesa né semplicistica, né retorica.
Il filo rosso che attraversa e unisce la serata e’ il rapporto speciale, caratteristico di tantissima letteratura napoletana, con la morte e con l’aldilà, il commercio intenso e frequente con le anime dei defunti, i santi del paradiso e Dio stesso.
Ma il teatro abbiamo già asserito che è magia e a noi ha regalato in questa occasione molto di più.
Un momento di verità, unico, irripetibile, indimenticabile. Mentre in scena Servillo ‘legge’ “Fravecature” di Raffaele Viviani, guardando il volto di Luciana, sua figlia, che ricorda a memoria, memoria d’amore genetica, riusciamo a cogliere una verità eterna, che ricongiunge il punto di mai-fine, tra noi, Viviani e Servillo.
Non c’è dunque un passato che scivola via, c’è un presente futuro che si reitera nell’Arte, quella vera, quella sincera.
Servillo incarna le lingue dei grandi maestri.
Quella di Viviani, che è carne e sangue e che mette a nudo i vizi e le virtù dell’uomo. Una lingua che non si distacca dal corpo.
Di Salvatore Di Giacomo, massima espressione del verismo napoletano che salottiera, ha cesellato la lingua napoletana dal punto di vista sintattico. Più una lingua pensata che parlata.
Il linguaggio di Mimmo Borrelli, primitivo, flegreo in cui è ancora presente la tradizione dei rapsodi greci.
Immancabile l’omaggio alla memoria di Michele Sovente, uno dei tre maggiori poeti napoletani contemporanei neodialettali, insieme a Achille Serrao e Tommaso Pignatelli. Si è connotato per lo stile di scrittura estremamente originale che mescola latino, italiano moderno e napoletano vernacolare. È suo il pensiero “la nostra terra è il paradigma della catastrofe”.
E poi l’omaggio alla canzone napoletana con un aneddoto esemplificatorio: quando a Napoli fu attaccata la corrente, la gente inventò subito una canzoncina per fare omaggio a questo evento.
Napoli canta, recita, scrive perché vive, malgrado tutto e nonostante tutto.
Servillo condivide in scena la sua solitudine. Imperdibile.

Veronica Meddi

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