Essere o non essere, questo era il dilemma di Amleto, trasbordati o non, in queste ore questo era l’interrogativo che ruotava intorno all’ultimatum che scadeva giovedì scorso, che i rapitori avevano posto per il pagamento dell’esorbitante riscatto. Una cifra (16milioni $) che è da capogiro e che la società armatrice napoletana, la Flli. D’Amato non sarebbe in grado di reperire, poiché una cifra del genere è tanto. Secondo le voci che provengono dai sindaci delle due cittadine dei marinai che sono sottoposti ad una specie, chiamiamola così, tortura sia fisica che psicologica, quello di Piano di Sorrento, Giovanni Ruggiero, e quello di Procida, Vincenzo Capezzuto. I quali sono in contatto con il Ministero degli Affari Esteri, e proprio da esso che provengono queste voci, che “è infondata la notizia che i marinari sono stati trasbordati a terra, loro sono ancora a bordo e che le trattative sono ancora in atto, e la nave è monitorata attraverso i satelliti spia”. Insomma secondo queste voci non doveva essere accaduto nulla e che i nostri marinai erano ancora sulla petroliera, sotto il sole cocente ed il caldo africano. Ma invece come si evince da un fax arrivato da bordo della Savina Caylyn a Liberoreporter.it e che noi apportiamo in questo articolo, le cose sono tutt’altro di come si crede. Purtroppo i nostri marinai: il primo ufficiale Eugenio Bon di Trieste, il terzo ufficiale Enzo Guardascione di Procida che ha vissuto parecchi anni a Cappella e l’allievo di coperta Gianmaria Cesaro di Piano di Sorrento, stanno conoscendo una cruda realtà, e se portati sulle calde e soffocanti alture desertiche la loro vita correrà dei seri pericoli. La lettera-fax parla chiaro che le condizioni si sono aggravate così come le minacce, le pressioni e le restrinsioni, ma quel che è più grave e che vivono un momento tragico nel quale i medicinali non ci sono più; i viveri, l’acqua ed il combustibile scarseggiano ed alcuni uomini dell’equipaggio hanno delle malattie della pelle e dei traumi. Poi per finire tutti vivono ristretti sul ponte di comando e lanciano un accorato appello alle autorità italiane affinchè portano a termine ed al più presto questa vicenda. In poche parole quello che diceva nell’intervista diceva la signora Tina Mitrano Verrucchia, che aveva ricevuto una telefonata nella quale il marito, il direttore di macchina Antonio Verrucchia, le comunicava che vivevano in condizioni pietose e che i tre suoi compagni di bordo erano stati trasbordati a terra, era vero ed oggi se né avuta la conferma via fax dalla Somalia da Raas Cusbard o Cusbaro nel nord della Somalia, in una zona con varie asperità tra il montagnoso ed il desertico.
fonte www.positanonews.it
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