C’è uno strascico civile e penale che coinvolge tutti i lavoratori del depuratore di Cuma, della protesta messa in atto due estati fa presso l’impianto puteolano. Il 16 giugno del 2009, gli operai incrociarono le braccia come estrema forma di protesta contro i continui ritardi nel pagamento delle spettanze mensili, da parte di Hydrogest Campania, la concessionaria per conto della Regione dell’impianto di Cuma e di altri quattro impianti sparsi tra le province di Napoli e Caserta. Lo sciopero – come è noto – determinò il blocco dell’impianto per un giorno e mezzo, con i liquami che finirono in mare senza alcun processo di depurazione. Il tutto produsse un danno ambientale, ma soprattutto una psicosi collettiva che fece saltare l’intera stagione balneare. Lo strascico di quella protesta si lega proprio ai danni che la psicosi tra i bagnanti provocò alle strutture balneari dell’intero litorale, e nasce dalla richiesta di risarcimento presentata alla Hydrogest da alcune di tali strutture. La prima è il Lido Turistico di Bacoli, che ha chiesto un risarcimento di 2,5 milioni per i mancati introiti e per il danno d’immagine subiti. Alla struttura bacolese se ne sono poi aggiunte altre. La risposta della Hydrogest a tali richieste è stata quella di chiamare in causa, a sua volta, i lavoratori dell’impianto di Cuma, che rischiano ora di dover sborsare di tasca loro il risarcimento chiesto dai lidi. Gli stessi lavoratori, inoltre, nel procedimento aperto in seguito al blocco del 2009 sono accusati di interruzione di pubblico servizio, violenza privata e disastro ambientale. Loro, ovviamente, si difendono, sostenendo che l’inquinamento del mare flegreo non sia imputabile a una protesta durata trenta ore. «Anche l’ultima inchiesta che ha scoperto lo smaltimento illegale del percolato attraverso il depuratore – dice l’avvocato Melchiorre Napolitano, uno dei difensori dei lavoratori chiamati in causa da Hydrogest – dimostra chiaramente che a inquinare il litorale sono state altre cause». Ma c’è anche un altro fronte giudiziario su cui i lavoratori premono, ed è quello per ottenere il riconoscimento dei benefici previsti dalla legge per chi ha lavorato in luoghi in cui era presente amianto. A Cuma l’amianto è stato presente fino a pochi anni fa, quando è stata realizzata la bonifica. Nel frattempo, però, cinque operai sono morti per problemi polmonari, anche se i magistrati non hanno ancora riconosciuto il nesso tra le malattie e l’esposizione all’amianto.
dal mattino Luigi Ciccarelli