Tratto dall’articolo di Sky Tg24: L’isola dei cassintegrati: una crisi che non è reality
…Quella stessa sera, precisamente alle undici e mezza, mi chiamò Pietro Marongiu per dirmi che mancavano le spianate, cioè il pane. Ma le spianate ci vogliono, come si fa senza spianate? «Pietro, ma a quest’ora dove cazzo lo trovo del pane?!» Litigammo per le spianate ma, in proposito, non concludemmo nulla, rinviando tutto alla mattina seguente. E ci ritrovammo alle otto al molo da cui salpa la Sara D, l’unico battello che collega Porto Torres a Cala Reale, un piccolo villaggio dell’Asinara.
La barca era capitanata da Giuseppe Carannante, un napoletano sessantenne di Monte di Procida, che aveva il volto inciso da duemila anni di dominazione straniera, memoria che lo aveva fatto diventare un maestro nell’arte di arrangiarsi. Carannante, appena ci vide e come gli spiegammo che stavamo andando a occupare l’Asinara, capì che aveva a che fare con degli uomini determinati.
«A disposizione!» furono le prime parole che ci disse.
Assieme all’armatore maddalenino Franco del Giudice, fu sempre lui a garantirci il viavai da Porto Torres all’isola, con orari a dir poco flessibili in funzione delle nostre esigenze. Quella mattina faceva freddo, anche se la giornata non era brutta. Partimmo con molti viveri, per la maggior parte quelli che ci avevano fornito qualche giorno prima Enzo e i suoi compagni di Banari, un paese dell’entroterra: pasta, formaggio, vino, mirto, pomodori, cose di prima necessità, ma il pane non c’era. Sacchi a pelo, coperte, cuffie, giacche a vento, vestiti molto pesanti. Sembravamo dei profughi. Anzi, lo eravamo.
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